Ci sono due facce del tycoon: quella che sa ancora toccare le corde dell’inconscio americano, il caro vecchio “sogno” e quella sguaiatamente populista, complottista e buffonesca
Cacciato via da Twitter, bannato dall’infosfera globale, costretto a errare nel deserto dei social, Trump torna da trionfatore su X. Perché questo è anche l’all-in di Elon Musk: ha scommesso su entrambi, X e Trump, e alla fine ha vinto tutto. Musk meglio di Taylor Swift, Jennifer Lopez e le star di Hollywood, roba ancora novecentesca, legata ai cari vecchi media. Gli elettori americani se ne sono fregati. Anche se ora non si chiamano più così, ci sono tweet che hanno fatto la storia. Il “Four More Years” di Obama aveva forse più stile del “Game. Set. Match” di Musk, banalotto e presuntuosetto, ma ieri il fondatore di Tesla era incontenibile, raggiante come un bambino, scriveva in continuazione. E a leggerlo si capiscono molto cose del trumpismo.
Coi primi risultati che arrivavano sulla Cnn e quella mappa degli States che diventava tutta rossa e sempre meno swing states da contendersi, Elon Musk si faceva più ispirato: “America is a nation of builders. Soon, you will be free to build”. Lo fissava in alto, sulla timeline, a futura memoria. Suonava bene in effetti. E’ una frase molto americana, piena di quell’epica libera e liberale dell’America faro della libertà economica e d’impresa. L’America che ci piace e abbiamo sempre amato e che non sappiamo più bene cosa sia diventata oggi. Poi un paio d’ore dopo, con la vittoria ormai sicura, ecco l’ormai già celebre: “You are the media now”. Una frase invece molto orwelliana, populista, antiestablishment, fintolibertaria. Una versione distopica del vecchio claim della tv anni Ottanta, “perché la trasmissione la fate voi!”. I media siamo noi, certo, però se ci abboniamo a X lo siamo ancora di più.
In questi due tweet che forse finiranno nei libri di storia (continuo a chiamarli così, mi gioco la carta della resistenza culturale) c’è davvero tutta l’ambivalenza del trumpismo. Ci sono le due facce di Trump, che poi ne ha anche molte altre, certo, tranne di sicuro quella del “buon senso” che gli attribuiscono Salvini, Sangiuliano e i nostri sovranisti. C’è il Trump che sa ancora toccare le corde dell’inconscio americano, il caro vecchio “sogno”, la voglia di fare, costruire, rimettere in piedi l’economia, farsi i fatti propri in politica estera, col free-speech à la Musk che diventa il contraltare social della libertà economica, ma col solito trucco di riuscire a sembrare anti establishment, pur essendo élite in purezza.
E poi, in quel “you are the media now”, c’è il Trump sguaiatamente populista, complottista, buffonesco, il gladiatore da circo capace di mentire spudoratamente, come nel “Ministry of Truth with lies” di “1984”. Certo oggi bisogna riconoscere una certa grandiosità dell’impresa e il fascino che le rivincite si portano sempre dietro. Però mi ricordo anche che anni fa, quando Facebook andava ancora forte, avevamo tutti una gran paura di ritrovarci un giorno Mark Zuckerberg alla Casa Bianca con il cortocircuito di media, politica, privacy, dati e conflitto di interessi che ne sarebbe poi venuto fuori. Eravamo ben felici di vederlo messo sotto torchio dal Congresso. Adesso ci pare normale che Trump, X e Musk siano tutti e tre al governo del più importante paese del pianeta.