Fermo restando che ogni essere umano ha il diritto di essere curato, quello della gestazione per altri resta un dilemma di fronte al quale il dottore deve poter decidere, in scienza e coscienza
A proposito dell’utero in affitto come reato perseguibile anche all’estero, con tutte le polemiche al seguito, ricordiamo un parere del Comitato nazionale per la Bioetica (Cnb) di 11 anni fa e intitolato “Traffico illegale di organi umani tra viventi”: senza voti contrari e con due astenuti, raccomandava l’elaborazione di uno strumento giuridico internazionale per prevenire e contrastare il traffico di organi, condannato con durezza. Eccone alcuni stralci.
“Il Cnb ritiene che sarebbe in alcune ipotesi un valido deterrente per chiunque la prospettiva che, a fronte di un organo comperato per migliorare le proprie condizioni di salute, vi sia il concreto rischio di essere incriminato una volta rientrato dall’estero […] Inoltre nella maggior parte dei paesi, e così anche nel nostro, non esiste allo stato una normativa che vieti al cittadino di recarsi all’estero per acquistare organi da donatori viventi in paesi in cui tale pratica non è considerata illegale. Si tratterebbe allora di inserire, seguendo l’esempio della Germania, una clausola di extraterritorialità che vieta ai cittadini di acquistare organi in qualsiasi parte del mondo, anche in quei paesi non europei dove il commercio di organi è legalizzato. Ciò in considerazione che questo tipo di transazione commerciale tra adulti capaci e consenzienti, sebbene molto diverso dall’uso di violenza, frode, minaccia o rapimento, finalizzato al reperimento di organi, pone comunque una forte problematicità sul piano morale e giuridico”.
Il Cnb non aveva trattato la posizione dei medici rispetto all’obbligo di denuncia di un paziente trapiantato illecitamente, ma alcuni componenti – fra cui Lorenzo D’Avack, divenuto poi presidente del Cnb, e Silvio Garattini, fondatore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” – firmarono una postilla in merito. Alcuni stralci: “Fermo restando l’obbligo di cura da parte del medico, si potrebbe ravvisare anche quello di dare notizia dell’attività illecita alla competente autorità per avviare una indagine […] l’obbligo deontologico del rispetto del segreto professionale e della privacy del paziente potrebbe del resto significare, per i medici, assecondare chi commette un reato, considerato un crimine contro l’umanità, e “diventare di conseguenza conniventi in quanto consapevoli della compravendita” […] Anche prendendo in considerazione la privacy e il segreto professionale, si può ben ritenere che il medico – a fronte di valori confliggenti, sia etici che giuridici – in ogni caso sia libero di decidere secondo scienza e coscienza, riservando l’obbligo deontologico in merito alla prestazione di cura alle sole situazioni di necessità in modo che la prestazione sia sempre assicurata”.
Insomma: fermo restando che ogni essere umano ha diritto a essere curato, resta un dilemma di fronte al quale il medico deve poter decidere, in scienza e coscienza. Nessuna reazione particolare dal mondo della sanità o nel dibattito pubblico, all’epoca, al contrario di quanto avvenuto, invece, di recente, riguardo la possibilità di segnalare, da parte di un dottore, il sospetto di una surroga di maternità: c’è stata una levata di scudi, con tanto di dichiarazioni di ordini e associazioni professionali. Perché tanta differenza? Perché la surroga di maternità non è percepita da tutti come reato grave (come il traffico di organi, ad esempio): c’è chi la giustifica in nome del fatto che quei bambini sono tanto desiderati e voluti e, quindi, di conseguenza, amati. E l’amore, si sa, supera tutto: “love is love”. Ma in questo modo si rischia di sottovalutare ogni forma di traffico di bambini. Va sottolineato, infatti, che un medico, nell’esercitare la professione, può solo avere un sospetto fondato, e quindi segnalare, che un bambino non è figlio dei genitori che si dichiarano tali; che sia nato da surroga o sia stato rapito, solo una indagine delle autorità competenti può stabilirlo.
E’ accaduto, ad esempio, in un ospedale tedesco, che ha segnalato criticità su un loro piccolo ricoverato, innescando una inchiesta in Argentina su un fenomeno diffuso di surroga ai danni di ragazze bisognose, coinvolgendo anche committenti italiani (due uomini, tra l’altro professionisti sanitari). A maggior ragione servirà attenzione quando recepiremo la nuova direttiva sulla tratta degli esseri umani, che aggiunge lo sfruttamento della maternità surrogata alle fattispecie da sanzionare. Troppo facile rifugiarsi nell’ovvio dovere di curare: le problematiche etiche sono complesse e chiedono un dibattito approfondito, non certo facili slogan.
Il dovere di cura e il rapporto fiduciario medico-paziente, da una parte, e la consapevolezza di un grave reato dall’altra, sono gli elementi di un dilemma etico che non deve essere sottovalutato, ma affrontato nella sua interezza, senza censure.