La recensione del libro di Shushan Avagyan edito da Utopia Editore, 160 pp., 18 euro
“Se avessimo la possibilità di ripristinare tutte le pagine strappate, bruciate e distrutte dai censori, nelle biblioteche non rimarrebbe spazio neanche per un ago”. “Libro senza nome” della scrittrice armena Sushan Avagyan (uscito per Utopia nella traduzione dall’armeno orientale di Minas Lourian) è un romanzo sperimentale intimo e sofisticato che indaga l’atto del ricordare la storia dimenticata o peggio, ignorata – “E’ possibile ammazzare un’intera civiltà, una cultura, e sostenere che non sia mai esistita?”. Mette in scena un incontro immaginario tra Shuskanik Kurghinian e Zabel Yesayan, due scrittrici e femministe armene dell’inizio del Novecento, perseguitate e cancellate. Affida la ricostruzione della loro memoria alla conversazione tra l’io narrante, dattilografa / scrittrice / traduttrice dei versi di Kurghinian e l’amica Lara, studiosa di Yesayan, durante un viaggio negli archivi di Erevan. Kurghinian e Yesayan non si sono mai incontrate (“La loro collisione avrebbe innescato una serie di scosse devastanti. Quell’energia avrebbe generato un mondo nuovo, o addirittura dei mondi nuovi”), ma hanno vissuto vite simili: “Cariche di figli”, ricordate con i cognomi dei mariti da cui avevano scelto di vivere lontano, entrambe insubordinate, entrambe talmente radicali per la propria epoca, da risultarne estranee. Entrambe spinte ai margini. Kurghinian era una poeta rivoluzionaria, prima perseguitata dalla censura zarista, poi strumentalizzata dai sovietici, e infine ripudiata e derisa per le sue posizioni femministe. Yesayan scriveva delle atrocità della guerra e dei diritti delle donne, è stata deportata e se ne sono perse le tracce in Asia centrale durante le Grandi Purghe. La scoperta del materiale d’archivio si sovrappone alle riflessioni sulla traduzione e sul genocidio del popolo armeno, i versi – quelli di Yesayan per la figlia Sophie e quelli di Kurghirian che danno il titolo ai capitoli – affiorano in un pastiche vertiginoso di voci, epoche, stralci di cartoline, conversazioni e lettere, folklore, una galleria eruditissima di personaggi storici e letterari in cui è un’avventura districarsi. Lo ammette anche Avegayan: “Se questa fosse la prefazione del libro, scriverei le prime righe in modo diverso. Forse così: Caro lettore, prima di continuare, raccomando la massima attenzione. Molti si sono irrimediabilmente persi tra le pagine di questo libretto velenoso. Oppure: Amica, dammi la mano. Con te, il mare in tempesta diventa calmo”. Con un movimento che è proprio della grammatica della sua prosa, cambia rotta, repentina, e sembra confondere, ma in realtà illumina il senso del libro: un gesto d’amore e di solidarietà femminista. E quale atto di solidarietà migliore in letteratura che salvare dall’oblio le voci messe a tacere con prepotenza?
Shushan Avagyan
Libro senza nome
Utopia Editore, 160 pp., 18 euro