Meloni puntella la Nato e l’Ucraina (da Trump). Il miraggio del 2% per le spese militari

Febbre nel governo e nel Parlamento per le elezioni americane. La premier riceve Rutte poi annulla l’incontro con i sindacati

La febbre della vigilia americana contagia tutti. In Parlamento, come a Palazzo Chigi. In Transatlantico sale la temperatura con i forzisti in imbarazzo (“voteremmo Trharris: una crasi per dire che comunque vada, si metterà male per l’Italia”), i meloniani cauti ma con il cuore che batte per The Donald e i leghisti, a partire da Matteo Salvini, che si giocano tutto sul tycoon. Febbre a novanta anche a Palazzo Chigi dove Giorgia Meloni di mattina incontra il segretario generale della Nato e di pomeriggio fa saltare l’incontro con i sindacati (rinviato all’11 ottobre) “a causa di uno stato influenzale”. La premier chiama i segretari di Cgil, Cisl e Uil spiegando loro che proprio non si sente in forze: i belligeranti Landini & Bombardieri, con lo sciopero già proclamato per il 29 novembre, non fanno storie. E aspetteranno una settimana, che difficilmente farà loro cambiare idea. “Per te insomma chi vince? E cosa ne sarà di noi?”. E’ tutta una febbre a stelle e strisce questa vigilia italiana che assume un significato simbolico proprio con la visita di Mark Rutte, in tour per le cancellerie europee, per assicurare che comunque vada, con Harris o con Trump, la Nato resterà unita. L’incontro con Meloni viene visto dunque come un passaggio formale da parte del successore di Jens Stoltenberg il giorno prima di un’alba che potrebbe modificare anche la posizione dell’Italia, e dell’Europa, all’interno dell’Alleanza atlantica.



In verità tutta la fretta di chiudere questo giro da parte di mister Nato guarda a Budapest, ultima tappa, con la partecipazione alla riunione della Comunità politica europea, dove è prevista anche Meloni, a casa di Viktor Orbán. La premier e Rutte marciano uniti quando c’è da parlare di Ucraina, altro convitato di pietra, uno dei tanti di queste elezioni americane. Come la pensa Trump sull’invasione russa è cosa abbastanza nota. Nonostante gli auspici, più o meno convinti, che trapelano da Palazzo Chigi dove il fiato è sospeso e non si sa davvero cosa sperare. La premier chiama “amico”, Rutte, e lo accoglie con un abbraccio che sembra quello del vecchio continente alle prese con un futuro denso di incognite. “L’Italia farà la propria parte per continuare a difendere quei valori che guidano l’Alleanza da 75 anni e che hanno garantito ai nostri popoli pace e sicurezza”, mette a verbale Meloni. L’ex premier olandese le rende onore definendo l’Italia un’alleata “affidabile e leale”.



La leader di destra, che giusto un mese fa ha ricevuto il presidente Zelensky, torna a ribadire il sostegno alla legittima difesa dell’Ucraina “la ferita inferta al sistema delle regole internazionali dalla guerra d’aggressione russa sta avendo effetti destabilizzanti molto oltre i confini nei quali si consuma e, come un domino, contribuisce a far detonare nuovi focolai di crisi”. A poche ore da un voto che potrebbe cambiare molto, da queste parti, la presidente del Consiglio torna a dire che “il nostro obiettivo comune rimane lo stesso, ovvero costruire le migliori condizioni possibili per una pace giusta, per aiutare l’Ucraina a guardare avanti”.

Sono parole note che forse non sarebbe destinate a fare notizia, ma la tempistica le rende solenni. Tutto può mutare, o forse no. Poi certo si passa alle note dolenti: i soldi. Nel corso del suo intervento Rutte evidenzia il fatto che “rafforzare la nostra difesa è la priorità di questa Alleanza, perché mantenere al sicuro il nostro miliardo di persone è il dovere più sacro della Nato ed è per questo che stiamo incrementando la nostra capacità industriale di difesa”. E dunque si entra nel vivo. Ancora il segretario della Nato. Quella che segue è una dichiarazione che provocherà le reazioni sdegnate di Avs e del M5s con il Pd che, come spesso accade, non riesce a esprimere una linea netta. Rutte: “Sostengo con favore l’annuncio degli 8,2 miliardi di euro che l’Italia investirà per i nuovi carri armati e per rinnovare la strumentazione delle forze armate. Naturalmente tutti dobbiamo raggiungere il 2 per cento del Pil in spesa per la difesa”, conclude quindi il segretario generale che nel corso della missione incontra al Quirinale il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e visita gli stabilimenti italiani del gruppo manifatturiero della difesa Rheinmetall. L’obiettivo del 2 per cento al momento è ancora lontano da raggiungere, salvo deroghe dell’Europa che finora non si sono viste nemmeno con due guerre in atto. Secondo i numeri che girano in Parlamento adesso l’Italia è all’1,46 per cento. Per il prossimo triennio le previsioni sono le seguenti: 2025 1,57 per cento (pari a 30 miliardi), nel 2026 1,58 per cento e 1,61 per cento per il 2027. Chissà se a manovra chiusa e approvata spunteranno sorprese. Obblighi e responsabilità, ma soprattutto scelte. Anche se la premier dice che Roma è la prima a contribuire al bilancio della Nato. Nessun riferimento, nelle dichiarazioni ufficiali, al nuovo ruolo di rappresentante speciale per i Paesi del fianco Sud affidato dallo spagnolo Javier Colomina da Jens Stoltenberg poco prima del passaggio di consegne. Scelta che brucia ancora. La febbre resta alta, così come l’attesa.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d’autore.

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