Il rischio che la macchina infernale di Trump si avvii dopo il voto

Perché in caso di sconfitta dell’ex presidente, la vera sfida per la democrazia americana sarà scongiurare un altro 6 gennaio

Forse non si devono sopravvalutare i segni di violenza e di chiamata all’azione che serpeggiano nel mondo digitale dark alla vigilia immediata delle elezioni americane. Forse l’inchiesta di istituti di ricerca e del New York Times sulla messaggistica di Telegram, il canale sulfureo che sappiamo, coglie un aspetto marginale del mondo Maga e dell’esercito estremista al seguito di Trump. Forse non ha senso collegare la mobilitazione preventiva all’insegna della rivolta violenta contro elezioni comunque considerate rubate, a meno che non sia ratificata la vittoria di Trump. Forse.

Forse bisogna fare attenzione a un punto politico importante e finora abbastanza trascurato. Il 6 gennaio 2021, a freddo, due mesi dopo il voto, fatte tutte le verifiche necessarie stato per stato, espletati tutti i ricorsi ed emanato un verdetto di funzionari e giudici senza indulgenze verso i negazionisti, scattò l’appello finale a impedire la ratifica della vittoria del candidato democratico Biden, impiccando in effigie il vicepresidente in carica per non aver accettato di fermare il processo elettorale, devastando con morti e feriti il Campidoglio con un’insurrezione cornuta benedetta dal candidato perdente. Ora, quell’appello risultò perdente, perché alla fine Biden fu insediato presidente con tutti i crismi, ma è rimasto nell’aria con una tonalità vincente, di rivincita, fino all’elezione successiva, questa, e si è alimentato della forza carismatica del mito di massa, ciò che è il vero modo per colpire e sfasciare, se non si faccia attenzione, il funzionamento di una democrazia liberale senza spada.


A parte sanzioni elementari e dovute, ma puntuali e personali, nessuna vera deterrenza è stata messa in campo contro il riprodursi di fenomeni di rigetto violento del risultato delle elezioni.

Non c’entra la libertà di parola e di critica, in ballo è quel momento decisivo, che molte circostanze possono ritardare, come era avvenuto vent’anni prima nella contesa tra Bush Jr. e Gore, ma che deve arrivare ed essere chiaro e forte: il perdente riconosce la sconfitta e dichiara che il vincente è anche il suo presidente. Trump questo non lo ha mai fatto. Con malizia e feroce senso narcisistico della sua idea personalistica della politica, l’ex presidente ha alimentato per quattro lunghi anni il mito delle elezioni rubate, si è piegato a un rapporto di forza giuridico e di fatto ma non al risultato politico e alla regola democratica. Difficile ora valutare quanto la sua campagna, che si è spinta ieri o l’altro ieri a affermare che non avrebbe mai dovuto lasciare la Casa Bianca dopo le elezioni che portarono Biden a occuparla per conto di una maggioranza del collegio elettorale e di una maggioranza del voto popolare, abbia messo radici vere e pericolose nel paese. E quanto alla sua campagna corrispondano le trame eventuali di poteri e servizi interessati all’interferenza nella politica americana al massimo livello. Parte del suo staff presidenziale disperso ha tirato fuori l’accusa di fascismo proprio in relazione a questo comportamento impudente. Fatto è che a esso è stata opposta la massima manifestazione di impotenza. Si è pensato, ed era comprensibile, che un mito farlocco e fondato sul nulla sarebbe svanito col tempo, e che non si poteva né doveva forzare la situazione. I tentativi di estromettere il candidato perdente che non aveva accettato il risultato dalla corsa per un nuovo risultato non hanno passato il vaglio della correttezza costituzionalistica e politica.

Ora ci risiamo, e c’è da augurarsi che le istituzioni democratiche americane siano pronte a fronteggiare una replica, di chissà quale tipo, del fenomeno del 6 gennaio la cui fiamma non ha smesso di essere alimentata, con implicazioni criminali sfuggenti ma sicure, per l’intero mandato di Biden e per tutta la campagna elettorale più violenta della storia americana. Se Trump avrà i voti del collegio elettorale, arriverà il riconoscimento degli avversari, ma se non li avrà è già pronta la macchina infernale dell’attacco di massa al processo elettorale. Con quali conseguenze, non si sa.

  • Giuliano Ferrara
    Fondatore
  • “Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.

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