La quarantaquattrenne di origine nigeriana potrebbe essere decisiva nel trasformare il partito conservatore in un riferimento anche per le classi medio basse. “La sfida sarà conciliare il suo essere molto a favore del libero mercato con gli altri temi che le stanno a cuore”, ci dice il giornalista David Goodhart
Un’oratrice efficace e una mente tattica, che punta a un rinnovamento totale del tipo di quello degli anni Settanta e Ottanta: questa è Kemi Badenoch secondo David Goodhart, giornalista e ideologo conservatore, con all’attivo un lontano passato marxista e un fiuto straordinario per gli argomenti capaci di turbare l’elettorato popolare. La nuova leader dei Tories è “una radicale, colta, con un forte senso delle istituzioni, punti di vista non comuni e la capacità di respingere le esuberanze progressiste”, spiega al telefono con il Foglio, raccontando come Badenoch abbia nel tempo guadagnato la stima delle menti più brillanti del partito – Michael Gove, per dirne una – e come lei potrebbe essere decisiva nel portare a termine quel processo di riallineamento iniziato nel 2019 e mai completato con il quale il partito conservatore britannico, sul modello dei repubblicani americani, smetterebbe di essere solo il riferimento delle classi alte.
Goodhart ha iniziato a parlare dei risvolti del multiculturalismo già nel 2004 con un articolo su Prospect intitolato “Troppo diversi?”, e poi con il suo libro del 2013 “The British Dream”, seguito dal fortunato “The Road to Somewhere” in cui creava una distinzione tra gli anywheres, le élite internazionali dall’identità portatile, e i somewheres, gente radicata, legata alla propria provenienza geografica e culturale, dando corpo agli argomenti della Brexit. “Lei ha il vantaggio di vedere il Regno Unito dall’esterno, essendo cresciuta all’estero”, e forse questo le darà la possibilità di andare a caccia di quello che la politica di tutto l’occidente sembra aver perso, ossia la “lost majority”, la maggioranza perduta, quella capacità di crearsi una base ampia. “La sfida sarà capire se riuscirà a conciliare il suo essere molto a favore del libero mercato con gli altri temi che le stanno a cuore”, e che sono eminentemente culturali. Il woke, certo, ma anche “l’ascesa della classe burocratica, un problema autentico”, secondo Goodhart. Badenoch l’ha esplicitato in un pamphlet che a un certo punto diventerà un libro, “Renewal 2030”, e che parte dal principio che i Tories hanno vinto solo quando c’era la parola Brexit sulla scheda elettorale.
Vuol dire che si vince quando si affronta un “malessere economico e culturale più ampio che ha preso piede in un occidente compiacente”, scrive la nuova leader. E secondo Goodhart, uno dei malesseri attuali è legato a quanto descrive Badenoch, ossia al diffondersi di un’ideologia progressista secondo cui bisogna proteggere i gruppi marginalizzati e vulnerabili e che per farlo ci vogliano burocrati, in grado di prendere “decisioni migliori rispetto agli individui o anche agli stati democratici”. E’ la identity politics applicata al mercato del lavoro: “Se crei una cultura del vittimismo o della lamentela, allora un lavoro ben retribuito per controllare questa cultura diventa un obiettivo per un numero crescente di gente di talento”. Per Badenoch bisogna affrontare quello che succede nel nostro mondo, e non buttarsi sulle battaglie di retroguardia, anche perché ormai un po’ liberali lo siamo tutti, ma sono gli eccessi che vanno combattuti, cercando di ripristinare la libertà, mentale e di impresa. “Dobbiamo salvare il capitalismo dalla sua classe burocratica”, spiega Badenoch nel suo libretto. “Lei legge i libri giusti, sarà brava in Parlamento rispetto a Starmer”, prosegue Goodhart, non troppo preoccupato dalle “asperità” della nuova leader, anzi: “Il problema di Boris è che non ne aveva, voleva essere amato da tutti, quindi ben vengano”.
Ma anche Kemi deve farsi amare un po’, e infatti il suo governo ombra è ecumenico e conciliante rispetto ai mesi di lunga, violenta campagna per la leadership: Rebecca Harris è la chief whip e ha il compito di tenere la disciplina nel partito e Priti Patel, ex responsabile dell’Interno e aspirante leader, sarà ministro ombra degli Esteri. Badenoch conta di essere al governo tra cinque anni, ha tutto il tempo per pensare alle politiche che intende portare avanti – per ora è solo concentrata sui valori e i temi culturali – e per convincere una stampa che l’ha salutata come una bella scommessa e un passo in avanti per tutti, ma anche con una serie di dubbi sulla sua affidabilità nel lungo periodo, dopo le uscite incaute e inutilmente provocatorie cui ha abituato il pubblico. L’hanno votata solo in 53 mila, ora c’è un paese da conquistare.