La presidente del Consiglio non ha espresso un endorsement per la Casa Bianca. “L’unica cosa che le preme è essere considerata un’alleata incondizionatamente affidabile degli Stati Uniti”, dice il professore di Scienza e comunicazione Marco Tarchi
Conto alla rovescia: in Italia ci si domanda quale scenario sia preferibile per la premier Giorgia Meloni, al netto del passato “trumpiano” (quando non era al governo). Il politologo Marco Tarchi, docente di Scienza e comunicazione politica all’Università di Firenze, non ha dubbi: “Non so se Meloni abbia, in cuor suo, una preferenza per Trump o per Harris”, dice: “L’unica cosa che le preme è essere considerata un’alleata incondizionatamente affidabile degli Stati Uniti, per mantenere o accrescere il proprio capitale di legittimazione a livello internazionale. Le sue capacità di adattamento alle situazioni sono, come si è visto negli ultimi due anni, quasi inesauribili. E sa che raccogliere sorrisi, strette di mano calorose o gesti di particolare cortesie da parte di chi occupa la Casa Bianca può servirle a rimediare, almeno in parte, a qualche passo falso all’interno del paese – anzi, della nazione – che governa”. La dimensione della “collaborazione costante tra Italia e Usa”, dice Luigi Di Gregorio, docente di Comunicazione Pubblica all’Università della Tuscia, “conta più di altri fattori: i due paesi sanno reciprocamente di poter contare su un alleato leale. Da questo punto di vista, è ininfluente chi vince. Non ci saranno problemi, come si è visto rispetto al rapporto Meloni-Biden. Meloni si è costruita un’immagine importante sulla scena mondiale, e il suo ruolo prevalente, ora, è quello di un capo di governo che deve far prevalere l’interesse nazionale. Diverso è il caso di Matteo Salvini”.
E, dice Lorenzo De Sio, dicente alla Luiss Guido Carli e direttore del Cise (Centro Italiano di Studi Elettorali), nella geometria internazionale “Meloni è forte di una legittimità costruita sulle posizioni sostenute rispetto all’Ucraina, sulla lealtà atlantica, sull’asse con Ursula Von der Leyen nella prima metà della legislatura. Certo, dopo le Europee Meloni non ha ufficialmente votato per Von der Leyen. Ma se prevarrà Trump, con la sua linea di disimpegno, l’Europa potrebbe trovarsi con il cerino in mano a dover sostenere tutti gli sforzi, anche economici, di una maggiore integrazione. E a Meloni potrebbe essere più utile, in quest’ottica, una vittoria di Harris”. C’è poi un tema di “colore politico”, dice De Sio: “La leadership internazionale, rispetto alle opinioni pubbliche, ha una valenza anche simbolica. Una vittoria di Trump confermerebbe il soffio del vento di destra, e Meloni sarebbe rafforzata sul fronte migranti, per esempio. La vittoria di Harris, d’altro canto, potrebbe avere effetti lungo le linee di frattura interne alla sua maggioranza. Per quanto riguarda il rapporto con la Lega e con Forza Italia, partito a forte impronta atlantista, con strategia di lungo termine della famiglia Berlusconi anche in tema di liberalismo e diritti civili. Ed è una famiglia che detiene risorse economiche e mediatiche che Meloni non ha”. Dice Salvatore Vassallo, politologo, docente a Bologna, autore, con Rinaldo Vignati, del saggio “Fratelli di Giorgia”, (ed.Il Mulino): “La premier oggi è altro rispetto a quello che era negli anni 2013-2020, quando costruiva la propria leadership cercando di accreditarsi presso l’area trumpiana europea. Se prevalesse Trump, Meloni, da un lato, potrebbe rafforzare il suo ruolo in questo ambito, dall’altro però quello che sta cercando di costruire sul piano internazionale da premier verrebbe messo in discussione, tanto più visto che la figura di Trump genera ostilità anche presso le opinioni pubbliche di destra”.
Altro aspetto: “Il ruolo dell’Italia come ponte tra Europa e Africa, in chiave di contenimento russo e cinese”, dice Vassallo, “con Trump ne uscirebbe indebolito”. Per Franco Bruni, presidente ISPI, “a livello europeo”, se vince Harris, “si potrebbe verificare una sorta di effetto ‘scampato pericolo’ rispetto al disastro Trump, ma non necessariamente questo sarebbe positivo: i paesi europei potrebbero cioè non sentire più un forte incentivo a procedere spediti sulla via di una maggiore integrazione”. Se vince Trump, invece, “la paura per la sua vittoria”, dice Bruni, “potrebbe dare impulso alla spinta centripeta, ma potrebbe d’altro canto anche rinforzare la voce dei populisti europei, anche nella base di Giorgia Meloni. E quindi, paradossalmente, sarebbe un vantaggio per Meloni la vittoria di Harris”.