La breve magnifica èra del Papato Ludovisi, una rivoluzione a Roma

In mostra alle Scuderie del Quirinale, l’esposizione è ricca di opere ed è stata allestita con perizia storica e critica. Il Papa e il suo cardinal nipote puntavano su una trasformazione estetica, alla bellezza di una Roma in cui da lì a poco sarebbe esploso il genio di Bernini

Andavano di fretta, l’anziano Papa Gregorio XV e il suo giovane cardinal nipote, Ludovico. Sono i due che vediamo in posa, ritratti dal fedele Domenichino in una gran messe di rossi cremisi e porpora, nell’ultima sala: quasi un sipario su cui i protagonisti del grande spettacolo cui abbiamo assistito si affacciano per un saluto di congedo. Andavano di fretta. Alessandro Ludovisi, il Papa, aveva già 67 anni quando ascese al Soglio nel 1621. I Ludovisi erano una delle più splendenti famiglie dell’aristocrazia bolognese, e quanto avessero investito di beni, relazioni e volontà per giungere a quel definitivo upgrade è facile immaginare: “Qui lottano sempre insieme la virtù e la fortuna”, scrisse il cardinale Guido Bentivoglio, uno dei più grandi mecenati della Roma barocca.

E i Ludovisi non furono certo da meno delle altre grandi casate che si contendevano la scena romana e il trono più alto. “E quanto più breve di tempo, tanto più forse copioso di heroiche e per tutti i secoli memorande attioni”. Colto, dottorato “in utroque iure” e grande esperto delle cose di curia, uomo di vigoroso governo della Chiesa e amico dei gesuiti, Papa Ludovisi di certo non apparteneva alla schiera dei prelati per ambizione e senza vocazione: il nome lo scelse in omaggio al suo predecessore bolognese, Papa Gregorio XIII Boncompagni, il gran pontefice scienziato e attuatore del Concilio di Trento. Divenuto Papa, aveva grandi progetti per la riforma della Chiesa e per dare nuovo lustro della Città Eterna e per attuarli aveva il suo giovane e raffinato nipote, il cardinal Ludovico, come Paolo V aveva avuto il cardinal nipote Scipione Borghese. Andavano di fretta, perché sul grande orizzonte della storia già premeva il Giubileo del 1625, che avrebbe dovuto celebrare lo splendore di una nuova aurora, per la Chiesa e per la città. L’Aurora Ludovisi.

Ma per trasformare tutto questo in una visibile grande bellezza occorreva un grande artista, un interprete di fiducia come sempre hanno avuto al proprio servizio i Pontefici rinascimentali. “Splendore e magnificenza” devono risuonare per rendere visibile il grande disegno divino. Da arcivescovo di Bologna già aveva abbellito la sua città servendosi dell’opera di grandi artisti, il Domenichino e Guido Reni, e a Roma chiamò subito la sua squadra emiliana. E soprattutto volle il più giovane, il predestinato a unire il proprio sigillo a quello del suo Papa. Si chiamava Giovanni Francesco Barbieri, ma quando arriva a Roma, a trent’anni e già preceduto da gran fama, per tutti è Guercino. Si è già conquistato un ruolo di primo piano nella sua Cento, e a Bologna la fiducia del cardinale Alessandro. Ha già dipinto per i religiosi e i profani, ha già firmato quella gran tela, così nuova, così viva, che è Erminia ritrova Tancredi ferito, e a Roma attendono di vedere all’opera questo “mostro di natura”. Sarà l’interprete principale di quella breve età d’oro che fu il Papato Ludovisi. Si era formato conoscendo il naturalismo di Caravaggio, era stato a Venezia, aveva conosciuto i fasti cromatici e di luce della pittura veneta, di Tiziano e di Jacopo da Bassano, aveva stretto amicizia con Palma il Giovane.

A questa epoca di aurora di una nuova Roma e di una nuova estetica pittorica è dedicata una mostra importante, ricca di opere e costruita con perizia storica e critica, una di quelle mostre in cui non si passeggia e basta, ma ci si immerge scoprendo e imparando, sforzandosi quando serve di aguzzare lo sguardo nei raffronti, come devono essere le vere mostre. Alle scuderie del Quirinale, si intitola appunto “Guercino – L’èra Ludovisi a Roma”. Inaugurata il 31 ottobre, sarà aperta fino al 26 gennaio 2025. Un tempo non troppo dilatato che si giustifica con l’enorme quantità e qualità di prestiti nazionali e internazionali che le Scuderie guidate dal direttore generale Mario De Simoni e dal direttore operativo Matteo Lanfranconi, e le due curatrici Raffaella Morselli e Caterina Volpi, hanno saputo ottenere. Raffaella Morselli è ordinaria di Storia dell’arte moderna alla Sapienza ed è specialista di Guido Reni e di Guercino. Caterina Volpi, ordinaria di Storia dell’arte sempre alla Sapienza, è specialista di pittura e disegno in Italia tra Cinquecento e Seicento. Insieme hanno costruito un rigoroso percorso filologico, di cui il catalogo (Artem) e una dovizia di schede sono un supporto necessario, ricostruendo sala per sala il progetto di un Pontificato complesso, che accanto alla forte innovazione religiosa – i grandi crocefissi, le pale d’altare, i ritratti devoti – unisce anche la ricerca di uno splendore classico e paganeggiante. Basti pensare ai marmi greco-romani della enorme collezione Ludovisi (in mostra c’è l’Ares Ludovisi, ora al Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps, che un giovane Bernini sottopose a un “restauro” creativo). Ci sono i paesaggi di delizia, i putti danzanti eco di baccanali antichi e la mitologia pagana, una nuova idea di natura come malinconica Arcadia (la struggente tela Et in arcadia ego, che Guercino dipinge prima di giungere a Roma, 1618, ma già in pieno mood della nuova estetica che con i Ludovisi avrebbe trasformato Roma).

Guercino non andava di fretta, per temperamento e stile di vita. Era abituato a primeggiare a Bologna, a Roma dovette imparare a misurarsi con i grandi cantieri, le grandi rivalità. Non si fece turbare, viveva coi compagni e collaboratori della sua bottega, le persone di famiglia, frequentava la comunità dei centesi che avevano trovato fortuna nell’Urbe. Ma andava di fretta anche lui, Papa Gregorio l’aveva chiamato per questo. Il pontificato Ludovisi era bolognese e pragmatico, c’era molto da fare e Guercino lavorò tantissimo, a partire dalla commissione più importante, la gigantesca pala d’altare della Sepoltura e gloria di santa Petronilla destinata a dominare l’altare dedicato alla santa in San Pietro e ora conservato ai Musei Capitolini, e che in mostra spicca nella sala d’apertura nel fac-simile a grandezza naturale in alta definizione realizzato da Factum Foundation.

La Roma dell’arte e delle grandi committenze era in cerca di nuovi splendori. Le ultime vestigia del classicismo non erano più di moda, la lunga scia dei caravaggeschi funzionava ancora, ma non era più una novità. La mostra racconta bene questo passaggio d’epoca, tra dipinti, sculture, disegni, stampe dei maestri che a Roma vennero a portare rinnovamento, la “corte” dei bolognesi, Annibale e Ludovico Carracci, Guido Reni, Domenichino. Ma poi anche Bernini, van Dyck, Pietro da Cortona, Nicolas Poussin. Ma la novità è lui. Da Bologna, da Ferrara, scendevano con lui i venti della pittura veneziana, i colori, un nuovo naturalismo lontano dalla maniera. Effetti di luce, composizioni ardite, teatrali. “I capolavori di Guercino, a fresco su muro e ad olio su tela, segnarono per Roma una vera e propria rivoluzione: un mondo popolato da dèi e santi, aulico e umanissimo al contempo: fu questo l’universo estetico dell’èra Ludovisi”. Il tutto testimoniato alle Scuderie da grandi prestiti, accostamenti giudiziosi e sottigliezze critiche, rese possibili da un lavoro di squadra: la collaborazione con il Museo Nazionale Romano, con gli Uffizi, i Musei Capitolini e un elenco di prestatori di primo livello.

Andavano di fretta, c’era il traguardo del Giubileo ad attenderli. Spiega la curatrice Caterina Volpi che l’idea della mostra era nata con “l’occasione dei quattrocento anni dal pontificato Ludovisi (1621-1623) e dal Giubileo del 1625”. Un biennio, ventisei mesi in tutto, di energia straordinaria. Scrive Volpi nel catalogo: “La consapevolezza dell’età avanzata e della salute malferma di Gregorio XV, ma anche dei suoi obiettivi molto ambiziosi, spinsero la famiglia e soprattutto Ludovico ad agire con estrema velocità e grande organizzazione nell’intento di rendere solida la propria posizione a Roma”.

Delle riforme ecclesiali si occupa il Papa, dello splendore mondano il nipote: la famiglia deve dotarsi in fretta “di un palazzo, di una collezione e di una scuderia degna di una dinastia reale, al fine di sviluppare e portare a termine propositi relativi al consolidamento del potere temporale e spirituale della Chiesa in un contesto divenuto sempre più globale”. Anche la Roma di oggi si avvia rapida al Giubileo, il che sempre significa cantieri e trasformazione della città. Ma mentre oggi i lavori infiniti dominano come un incubo ossessivo, Papa Ludovisi e il suo cardinal nipote puntavano su una trasformazione estetica, alla bellezza di una Roma in cui da lì a poco sarebbe esploso il genio di Bernini. In mostra tanti capolavori, tra cui per la prima volta il Mosè, un close-up modernissimo e drammatico, che fa mostra di sé sui manifesti, e che è un importante prestito dalla Rothschild Foundation di Waddesdon.

Gregorio XV fu un vero pontefice romano, che in un arco di tempo breve riesce a cambiare il paradigma culturale, artistico e politico tanto da giustificare l’uso dell’espressione “èra Ludovisi”. Ma non fu solo quello. Fu anche un vero Papa riformatore di una Chiesa le cui dimensioni ormai raggiungevano il mondo. Fu lui a fondare la Congregazione di Propaganda fide, fu lui nel 1622 a celebrare con grande intensità la canonizzazione di cinque grandi santi decisivi per la storia della Chiesa: oltre a Isidoro di Siviglia, quattro personalità che hanno segnato la ripresa del cattolicesimo dopo la crisi rinascimentale: Ignazio di Loyola e il suo primo amico Francesco Saverio, Teresa d’Avila e Filippo Neri, di cui in mostra spiccano tre magnifici ritratti, così diversi e quasi in competizione tra loro, di Guercino e di Guido Reni. Fu amico dei gesuiti e volle la costruzione della chiesa di Sant’Ignazio, avviò importanti riforme in vista di una nuova “aurora” del cristianesimo. Di cui non vedrà i frutti. Perché su quella grande vicenda storica, religiosa e artistica che è “l’èra Ludovisi” aleggia il senso di un destino rimasto sospeso, di un’alba incompiuta, come disse il gran teologo De Lubac del Rinascimento, anzi in questo caso si tratta di un’aurora. Il grande Giubileo del 1625 non sarà Papa Ludovisi a celebrarlo, Gregorio XV morirà nel 1623, lasciando al successore il compitodi completare l’apoteosi della Chiesa della Controriforma.

Ma oltre la Chiesa, in quei ventisei mesi di pontificato a Roma correva anche la gara dello splendore mondano. La Villa sul Pincio che Ludovico è incaricato di edificare, sul terreno dei leggendari Horti Sallustiani su una vigna acquistata al Cardinal del Monte, e che non c’è più, resta nella memoria di Roma come una delle sue maggiori meraviglie, con il parco arredato di statue e la grandiosa collezione di marmi antichi. Di quello splendore e di quella passione artistica e antiquaria rimane il gioiello che è il Casino di delizie, che oggi si chiama Casino dell’Aurora, in onore al grande dipinto simbolico che Guercino realizza sul soffitto del salone principale. Così che di quell’aurora incompiuta del Ludovisi, spicca il suo simbolo, il vero “plus” della mostra. Se alle Scuderie si vedono le copie dei dipinti – e una serie eccellente raffinata di disegni preparatori – la grande novità è che per i visitatori sarà possibile visitare il Casino dell’Aurora Ludovisi, dove padrone di casa è il capolavoro del Guercino: l’Aurora che attraversa il cielo su un cocchio trainato da cavalli arrembanti ha un significato allegorico che è la chiave simbolica dell’èra Ludovisi e anche della mostra. Guercino, di fretta, dal 1621 viene incaricato della decorazione della sala centrale al pian terreno del Casino.

La sua Aurora, con quella potenza naturale e quei tratti di luce che attraversano il cielo rappresenta la nuova alba che stava per sorgere per il Papato. Ha detto Raffaella Morselli: “Quando nel 2019 furono montati i ponteggi sotto la volta dell’Aurora nel Casino Ludovisi, per le indagini diagnostiche, fu chiaro che era giunto il momento di studiare Guercino attraverso la lente del suo rapporto privilegiato con il Papa e con Roma”. Un’affascinante sfida, “raccontare due anni magici” che fondano “il nuovo linguaggio artistico della Roma barocca”. Il Casino dell’Aurora è celebre anche per conservare l’unico dipinto su muro di mano di Caravaggio, che non è però possibile attualmente vedere. Ma salire per il viale del lussureggiante parco sul Pincio, entrare nelle sale cui hanno lavorato tutti i più grandi artisti di quell’inizio del Seicento è un’occasione unica che la mostra riserva, in via del tutto eccezionale grazie alla disponibilità del ramo principale della famiglia Boncompagni Ludovisi, accompagnati da una guida delle Scuderie del Quirinale.

L’8 luglio 1623 la morte di Papa Gregorio XV spegne quella breve, intensa aurora. E con essa sfuma anche il grande progetto che avrebbe consacrato Guercino, la decorazione della Loggia delle Benedizioni in San Pietro. Dopo la morte del suo Papa il pittore non tornerà più a Roma. Andava di fretta per altre strade e altri capolavori, più a nord, a Bologna, nella sua pianura.

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  • Maurizio Crippa
  • “Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini”

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