La discussione dei leader europei sull’esito delle elezioni negli Usa rischia di essere lunga e animata. Soprattutto qualora dovesse vincere Trump
I risultati delle elezioni presidenziali americane meritano almeno una cena dei capi di Stato e di governo dell’Ue. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha deciso di anticipare la discussione tra i leader sul nuovo presidente americano al 7 novembre, subito dopo il vertice della Comunità politica europea che si terrà a Budapest lo stesso giorno, invece che aspettare il vertice informale dell’Ue il giorno dopo. La discussione rischia di essere lunga e animata, soprattutto se il vincitore sarà Donald Trump. Attorno al tavolo quasi tutti i leader temono il ritorno alla Casa Bianca del repubblicano. Ma ci sono delle eccezioni.
Quattro anni non sono bastati all’Unione europea per prepararsi all’inimmaginabile ritorno di Trump alla Casa Bianca. La notte tra il 5 e il 6 novembre 2024 gli europei saranno di nuovo con il fiato sospeso, come lo erano stati nella notte tra il 3 e 4 novembre 2020. Quasi tutti i leader tengono le dita incrociate per Kamala Harris. Il premier ungherese, Viktor Orbán, ha detto pubblicamente di tenerle incrociate per Trump, dopo averci parlato al telefono giovedì 31 ottobre per fargli “i migliori auguri”. Vista da Bruxelles, nell’elezione presidenziale americana c’è in gioco il futuro dell’Ue, prima ancora che quello degli Stati Uniti. Perché le istituzioni comunitarie e i ventisette Stati membri non solo non si sono preparati a Trump, e in gran parte rifiutano di accettare il cambiamento radicale avvenuto sin dagli anni di Barack Obama nella politica americana.
Il candidato repubblicano è di gran lunga lo scenario peggiore per gli europei a causa della guerra della Russia contro l’Ucraina, del rischio di ritiro degli Stati Uniti dalla Nato e delle guerre commerciali transatlantiche che potrebbero segnare l’inizio della sua amministrazione. La vittoria di Harris sarebbe un baluardo contro le onde populiste e autoritarie che negli ultimi anni hanno ripreso a gonfiarsi a livello globale. Ma, come dimostrano i quattro anni di Joe Biden, la presenza di un democratico atlantista alla Casa Bianca non rende gli Stati Uniti più generosi con gli europei.
Questo è un estratto di Europa Ore 7 di lunedì 26 giugno, realizzato con Paola Peduzzi e Micol Flammini, grazie a una partnership con il Parlamento europeo. Per ricevere la newsletter integrale nella tua casella di posta elettronica puoi iscriverti qui. È gratuito.
La luna di miele tra gli europei e Biden è durata poco. All’inizio del suo mandato, ancora nel pieno della pandemia di Covid, il presidente democratico ha rifiutato di togliere le restrizioni alle esportazioni di vaccini verso l’Europa. Il caotico ritiro dall’Afghanistan nell’agosto del 2021 ha colto di sorpresa e irritato gli alleati europei. L’aggressione della contro l’Ucraina ha ricompattato i ranghi, ma solo fino a un certo punto. L’Inflation reduction act adottato dall’Amministrazione Biden nell’agosto del 2022 non è stato vissuto solo come un atto di protezionismo stile “America First”, ma anche come un tentativo di sottrarre all’Ue investimenti e imprese chiave per la transizione climatica.
La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, nonostante i suoi ottimi rapporti personali con Trump, non è riuscita a firmare una pace commerciale tra le due sponde dell’Atlantico, limitandosi a una tregua sui dazi su alluminio e acciaio e altri conflitti. La Francia ha subito la “pugnalata alle spalle” dell’alleanza Aukus, che ha compromesso la vendita dei suoi sottomarini all’Australia. I paesi dell’Europa dell’est e del nord (con l’eccezione di Ungheria e Slovacchia) si lamentano che gli Stati Uniti (come la Germania) non stanno facendo tutto quel che possono per aiutare l’Ucraina a vincere la guerra.
Rispetto a Biden (o a Harris presidente) “Trump sarà più radicale e brutale”, ci ha spiegato uno dei leader che siedono attorno al tavolo del Consiglio europeo, parlando sotto condizione di anonimato. Ma è nelle relazioni tra Ue e Stati Uniti che “c’è un cambiamento di paradigma. Che sia Harris o Trump, ci saranno punti simili. Il protezionismo americano non cambierà con Harris. La priorità della Cina e della regione dell’Indo-pacifico non cambierà con Harris”, spiega questo leader, che esprime una speranza: “Se Trump sarà eletto, almeno costringerà gli europei a essere lucidi e a smettere di prendere i nostri sogni per la realtà”. Il presidente francese, Emmanuel Macron, è già pronto a rilanciare la sua campagna per la sovranità europea e l’autonomia strategica, sostenendo che l’Europa deve prendere il suo destino in mano. Altri lanceranno slogan sulla necessità di prendere il proprio destino in mano.
“Alcuni sostengono che il futuro dell’Europa dipende dalle elezioni americane, mentre dipende prima di tutto da noi. A condizione che l’Europa cresca finalmente e creda nella propria forza”, ha detto il premier polacco, Donald Tusk. Il problema è che le stesse cose erano state proclamate nel 2016 dopo la prima elezione di Trump, e sono state ridette dal 24 febbraio 2022 dopo l’invasione su vasta scala dell’Ucraina. Il risveglio non c’è stato, o almeno non in tutta l’Ue. Il governo di Olaf Scholz in Germania continua a sperare di limitare i danni, come faceva quello di Angela Merkel, convinto che alla fine Trump non ha interesse a imporre dazi al 20 per cento agli europei o a minare la credibilità delle alleanze americane nel mondo chiudendo l’ombrello di sicurezza garantito all’Europa.
I capi di Stato e di governo discuteranno dei risultati delle elezioni presidenziali americane a cena. Orbán è pronto a “stappare lo champagne” per Trump, come ha ammesso lui stesso. Altri leader, tra cui Giorgia Meloni, sono sospettati di essere pronti a volare a Washington a onorare Trump in nome della stessa ideologia, presentandosi come “ponte” per salvare le relazioni transatlantiche. Von der Leyen ha istituito un gruppo di lavoro (ribattezzato “task force Trump”) per preparare le risposte a una guerra commerciale. Il suo capo di gabinetto, Bjorn Siebert, ha iniziato una serie di colloqui bilaterali (i confessionali) con gli ambasciatori dei ventisette Stati membri presso l’Ue. La Nato ha nominato un nuovo segretario generale, Mark Rutte, che è convinto di poter sedurre Trump riconoscendo che ha ragione sull’aumento della spesa o la minaccia della Cina. E’ una strategia simile a quella che gli europei seguirono durante il primo mandato Trump. Ma da allora “tutto è cambiato”, riconosce un diplomatico scettico del livello di preparazione degli europei. “Trump è cambiato ed è più radicale. La guerra è tornata in Europa. La Cina è più pericolosa e aggressiva. Gli unici che non sono cambiati sono gli europei”, dice il diplomatico.