Alle prese con il “filisteo colto” di Nietzsche

Secondo il filosofo tedesco, il “filisteo colto” è animato da un’orgogliosa scioperaggine che lo rende felice: dovendo pontificare a destra e a manca, si mostra il più possibile apodittico

Ho seguito con interesse il dibattito sulla cultura italiana che si è svolto fra i padiglioni di Francoforte, almeno fino a quando non mi è caduto l’occhio sulla mia vecchia edizione delle Considerazioni inattuali (una Newton Compton del 1997; ma ce n’è una più recente Rusconi, 295 pp., 12 euro). Nietzsche distingue fra cultura e ciò che Mirella Ulivieri traduce con “culturalità”: la prima è “unità di stile artistico in tutte le manifestazioni vitali di un popolo”, mentre nella culturalità rientrano le manifestazioni non vitali o di vita apparente. E’ il caso del molto sapere e del molto studio, “né mezzo necessario della cultura né indizio di essa”; è il caso del “filisteo colto”, che vive nella “superstizione di essere uomo di cultura” poiché rilascia dichiarazioni su tutto e indossa idee alla moda. Il filisteo colto è animato da un’orgogliosa scioperaggine che lo rende felice: dovendo pontificare a destra e a manca, si mostra il più possibile apodittico, “come se l’esistenza non fosse una faccenda disperata e inquietante, bensì un possesso solido, garantito per l’eternità”.

Non conta che si lamenti sempre della situazione corrente; vive una felicità più profonda, dovuta al fatto che la culturalità “crede in sé, e perciò crede anche nei metodi e nei mezzi che ha a disposizione”: infatti “affida ai dotti il giudizio supremo su tutte le questioni di cultura e di gusto, e considera sé stessa come un crescente compendio di dotte opinioni, che somministra mescolate, diluite o sistematizzate, come bevanda salutare”. Perciò il filisteo colto, “quando si siede a scrivere, prende un’espressione come se volesse farsi fare un ritratto”, alternando lunghe tirate didattiche a brevi slogan che reputa convincenti; accumula così un campionario di “errori di grammatica, immagini confuse, abbreviazioni oscure, mancanze di gusto e artificiosità”, il cui risultato è “lingua confusa e illogica” che esercita “una vergognosa violenza pur di scroccare una frase”. Pensate, tali lampi sulla cultura tedesca Nietzsche li aveva pubblicati già nel 1873; mentre io avrei voluto contribuire al dibattito sulla cultura italiana in questo piccolo spazio ma purtroppo, come vedete, la pagina finisce qui.

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