Il Manchester United di ten Hag era più triste di una birra analcolica

Le disgrazie della Premier League sono comunque più interessanti di una Serie A che riaccoglie Balotelli

In attesa che quel piagnone di Vinicus dica che non gli è stato assegnato il Pallone d’Oro per razzismo (manca quello, e lui è un esperto nel genere), continuo nella mia personale ricerca del superamento di ogni limite di ubriachezza festeggiando la cacciata di Erik ten Hag dal Manchester United. L’allenatore olandese sulla panchina che fu di Sir Alex Ferguson è stato un equivoco durato troppo: centinaia di milioni spesi per giocatori più insulsi di un piatto vegano per ottenere risultati tristi come una birra analcolica e giocare partite più brutte di un Roma-Torino di Serie A. Non fatevi ingannare dalla FA Cup dell’anno scorso, più un colpo di culo che altro. Parentesi di Mourinho a parte, lo United è diventato l’emblema di come avere molti soldi da investire nel calcio non significhi per forza capirci di calcio. Il manager olandese non è il primo e non sarà l’ultimo allenatore trattato come un guru per avere azzeccato una stagione con una squadra di medio livello e poi spernacchiato dopo aver dimostrato di capirci poco appena la pressione si fa sentire (ogni riferimento a Thiago Motta non è assolutamente voluto). Ora i Red Devils rischiano di ripetere lo stesso con Rúben Amorim, uno che finora ha vinto solo in Portogallo con lo Sporting, che è vero che non vinceva il campionato da parecchio tempo, ma è come vincere una gara di rutti con dei dodicenni. La Premier League è un’altra cosa, ma meglio di ten Hag con tutti quei soldi a disposizione farei meglio pure io, anche solo perché ordinerei molti litri di bionda risparmiando sullo stipendio di Maguire.

Non un bel momento a Manchester, anche su sponda City, dove Pep Guardiola si lamenta delle assenze come un Mazzarri qualunque. Poi certo uno guarda la Serie A e anche le peggiori disgrazie si ridimensionano: per aggiungere disagio al disagio, vedo che vi state esaltando per il ritorno in Italia di Mario Balotelli, uno che negli ultimi anni ha raccolto gli stessi successi di Carlo Calenda. È incredibile vedere l’eterno ritorno dell’identico circo che ogni anno mettono in piedi i giornalisti sportivi italiani, a suon di “sarà la volta buona?”, “Super Mario ha raccolto meno di quel che avrebbe potuto raccogliere” e scontatissime analisi su quanto la testa sia importante nel calcio.

Ma dato che al peggio non c’è mai fine, e dopo una sbronza c’è sempre l’hangover, leggo che Francesco Totti minaccia il ritorno, sostenendo che gli bastano due mesi di allenamenti per tornare a giocare titolare in Serie A. E come se non bastasse er Pupone dice anche che un paio di squadre lo avrebbero contattato. Un incubo, insomma, perché il ritorno al calcio di Totti significa anche che si sarà un secondo addio, con lacrime e striscioni in romanesco. Non lo augurerei al mio peggior nemico, quindi nemmeno a voi appassionati di calcio italiani.

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