Gli editori Angelucci fanno riscrivere a Meloni e Giorgetti, la web tax, la tassa “ammazzagiornali”

Il governo per colpire i colossi del web finisce per colpire la piccola editoria (e i giornali d’area, Giornale e Libero). Le proteste di Forza Italia e il retropensiero che la norma sia stata scritta per punire i giornali online ostili

Vogliono punire i colossi e ammazzano i nani. Il governo Meloni la chiama web tax ma è la tassa “ammazzagiornali”, la falce per i siti d’informazione, le botteghe della polemica. A Palazzo Chigi dicono ora “la cambiamo”, ed è sicuro che lo faranno: sono riusciti a scontentare la famiglia Angelucci, gli editori di Giornale e Libero, imprenditori che pagano gli stipendi dei giornalisti di destra, editori che credono nel governo Meloni, ma che non sono certo dei fessi. Quando lo hanno saputo, ed è la notizia, hanno protestato: “Ma che scrivete?”. Meloni e Giorgetti intendono alzare le tasse ai giganti del web. Quale italiano dirà “fermatevi”? Nessuno. Ma il governo le sa alzare, lo sa fare con i giganti? Non lo sa fare. Lo sa solo dire. E lo scrive peggio. Un’imposta sui servizi digitali esiste già dal 2018. Chi vende pubblicità sui propri siti, chi ha ricavi che superano oltre i 750 milioni di euro deve pagare imposte. La tassa ha finora portato nelle casse dello stato: 390 milioni nel 2023; 298 milioni nel 2022, 240 milioni nel 2021. Per aumentare il gettito bastava alzare l’aliquota ma per alzare l’aliquota servono accordi internazionali. E’ una questione seria e richiede tempo e non la propaganda da due soldi. Più facile è affamare in Italia: sovranisti pure nelle tasse. Nella nuova legge di Bilancio, art 4 (misure in materia d’imposta sui servizi digitali e cripto attività) si è deciso di eliminare la soglia ed estendere l’imposta a tutti, piccoli e grandi, e, attenzione, non sugli utili, ma sui ricavi. L’imposta ha riguardato finora i grandi editori e le loro concessionarie. Esempio? Publitalia, Rai, Mediaset, Gedi, Rcs. Ci sono poi i giornali online che vendono i loro spazi pubblicitari ma che non arrivano alla soglia dei 750 milioni di euro, sono giornali che assumono giovani, giornali aperti, accessibili, senza abbonamento, come Libero e Giornale. Ci sono poi i siti d’informazione, solo siti, quelli che per la destra sono delle “latrine”. E’ un’opinione, rispettabilissima, per carità, come sarebbe da rispettare qualsiasi opinione irregolare che non piace alla destra. Si può criticare, come fa il governo, dire che c’è del “giornalismo spazzatura”, si può anche dire che mettere in apertura, di un sito nazionale, un’inchiesta archiviata, come quella della Donatella Tesei, candidata della destra in Umbria, è “un colpo basso”. Quello che non si dovrebbe fare è non accettare la fronda, non accettare chi dice “nun me piace ‘o presepio Meloni” . Più ridicolo ancora è mettersi contro perfino gli amici. I “nemici” si sa chi sono e li ha indicati il governo. Uno di questi è Fanpage, il sito dell’inchiesta sui giovani di FdI, l’inchiesta sui saluti romani. La voce, e gira tra gli operatori, è che questa strepitosa introduzione del Mef sia stata pensata per questi siti, per spiegare “ai nostri amici”, direbbe Eugenio Scalfari, “come si campa”. Gli editori, e tra questi gli Angelucci, hanno protestato e ora si capisce meglio a cosa si riferiva Antonio Tajani quando ha parlato di “burocrati del Mef che cercano di “essere troppo autonomi”. Maurizio Gasparri, uno che entrerebbe con la motosega negli uffici di Amazon, e che parla di “banditismo”, di colossi che rubano le notizie, ha annunciato che lui sta con gli editori, i piccoli, e che la web tax “non deve colpire le piccole tv digitali o i gruppi editoriali web”. Tra questi c’è il gruppo Angelucci. La norma va riscritta, e lo dice Forza Italia, che dice anche: “Stiamo lavorando per escludere la tassazione. La norma è sbagliata perché colpisce la piccola editoria e non i grandi operatori digitali”. La tassa, modificata, aumenterebbe di solo 51.6 milioni di euro il gettito, ma enormi sono gli effetti sulla piccola editoria, un settore malandato, offeso, che viene periodicamente ristrutturato con leggi di prepensionamento. Quando il governo toglierà la norma, e la toglierà, quale titolo vuole che i giornali gli facciano: “Il governo aiuta la piccola editoria” oppure meglio questo: “Meloni salva l’editoria. Il pluralismo è di destra”? Erano partiti “con gli diamo una lezione ai giganti” e sono finiti a prendere ripetizioni dai professori Angelucci, i docenti della destra aziendale: “Ripetiamo insieme: ora noi la norma la riscriviamo…”.

Di più su questi argomenti:

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio

Leave a comment

Your email address will not be published.