“Corpo” e “libertà”: le parole tabù della gravidanza per altre persone

Tre esempi su cui ragionare, perché il modo migliore per farsi un’idea su un argomento tanto spinoso è seguire la casistica. E non è detto che si debba prendere posizione su tutto

Nei giorni scorsi mi è successo di frequentare, più che non avessi mai fatto, il tema della gravidanza per altre persone – quella che le convinzioni contrarie preferiscono chiamare dell’utero in affitto. Resto in una specie di soggezione, non tanto per l’argomento – in altre occasioni sostanzioso – che sono un uomo: il tema riguarda, sia pure con grandi differenze, sia donne che uomini, per tenermi a questa nomenclatura “binaria”. Piuttosto, mi pare che l’intreccio fra posizioni di principio e valutazioni caso per caso sia qui difficile da sbrogliare. E non è detto che si debba prendere posizione su tutto, al contrario: delle moltissime cose di cui non si sa come parlare, meglio tacere. D’altra parte è difficile tacere, almeno fra sé e sé, quando la questione venga risolta con il taglio chirurgico del proibizionismo legale, com’è avvenuto in Italia, diversamente che nel 2004, quando la “maternità surrogata” venne vietata dalla legge 40, sulla procreazione medicalmente assistita, ma nella legge votata due settimane fa, millantata del “reato universale”, che “punisce secondo la legge italiana i fatti riferiti alla surrogazione di maternità da un cittadino italiano anche se commessi all’estero”.

Impreparato come sono, mi sembra che il partito migliore sia di seguire la casistica. E la giornata di ieri offre almeno tre esempi sui quali ragionare. Il primo, è un’informazione di passaggio dentro una cronaca del Corriere sul presidente del collegio bolognese che ha rinviato alla Corte di giustizia della Ue il decreto sui cosiddetti paesi sicuri. Nel 2019, quando nel consiglio regionale dell’Emilia-Romagna un emendamento di cattolici nel Pd provò a equiparare la Gpa alla violenza di genere, il giudice, Marco Gattuso, scrisse al presidente Bonaccini: “Sono un giudice del Tribunale di Bologna e insieme al mio compagno, con cui sono unito civilmente, sono papà di un bambino di quasi cinque anni, nato in California grazie a una gestazione per altre o altr… La scelta di vietarla in Italia può essere condivisa o può essere discussa, ma l’assimilazione a violenza assume un’inaccettabile connotazione ideologica, da stato etico, che offende innanzitutto la dignità dei bambini”. Messaggio notevole, anche per quell’“innanzitutto”, che implica l’attenzione a non offendere anche la dignità delle persone adulte.

E proprio ieri, tutti i giornali davano risalto alla notizia dall’Argentina, dove sono stati fermati, all’uscita dal paese, due uomini italiani, una giovane donna argentina, 28 anni, e la bambina di 15 giorni venuta al mondo dalla donna e dal seme di uno dei due uomini. Il contesto è dei più corrispondenti al quadro raffigurato dalle persone, comprese molte militanti storiche femministe, rigorosamente contrarie (fino, alcune, all’approvazione piena della legge pretesa universale) a ciò che denunciano come la compravendita del corpo della donna, ritenendo irrilevante il numero di casi in cui davvero la gestazione per altre persone sia altruistica e solidale. La giovane argentina sarebbe povera, senza istruzione, bisognosa di tirar su da sola una figlia minore. E avrebbe ricevuto una somma equivalente a 5.600 euro. I magistrati argentini mirerebbero a colpire l’organizzazione che specula sulla vulnerabilità di donne e sul desiderio di chi non può avere figli. Intanto la bambina, la donna, i due uomini, esistono, e sono fermi in un limbo trasparente, senza una cometa sul capo.

Ancora ieri, a Radio 3 Scienza ho ascoltato Eva Benelli, giornalista e scrittrice scientifica, la cui posizione è, mi pare, vicina se non coincidente con quella dell’Associazione Luca Coscioni. Benelli parlava del suo libro, appena uscito per Bollati Boringhieri, “Gravidanza per altre persone. Tra disinformazione, discriminazioni e diritti negati”. Benelli pensa, se non fraintendo, che non poter avere figli equivalga a una patologia, dunque implichi una responsabilità sanitaria. Dice che se il desiderio di avere figli “non è un diritto, non è nemmeno vietato”: morale che però sembra contraddetta dal fatto. Soprattutto mi ha fatto pensare la sua considerazione finale sulla denatalità, perché sono soprattutto colpito dalla contraddizione fra una così rapida e vasta caduta della natalità, nella cittadinanza italiana come in quella immigrata, e la volontà impetuosa di procreazione in tante persone che, per qualunque ragione, non possono averla in autonomia. Coppie eterosessuali in gran maggioranza, come si sa (Benelli, quanto all’adozione, avverte che per alcune persone l’appartenenza genetica, procurata dalla fecondazione eterologa, è importante). Benelli (citando il ginecologo Carlo Bulletti) osserva che in Italia “ci sono 170 mila coppie eterosessuali con problemi di sterilità e altre 30-40 mila coppie potenzialmente omogenitoriali, dunque 200 mila potenziali nuovi nati, mentre siamo scesi a 350 mila nuovi nati all’anno…”. E’ un argomento solo retorico, esemplare, mi sono detto. Perché può suscitare un effetto opposto: immaginare, solo per l’Italia, 200 mila corpi di donne occupati da figli d’altre persone. Immagine forte, troppo forte. Ho comprato il libro, lo sto leggendo. Sostiene che non si capisca “in virtù di quali considerazioni impedire a una donna che lo sceglie liberamente di offrire a pagamento un servizio che implica l’utilizzo del proprio corpo, della propria capacità riproduttiva”. Proverò a capire, come posso, che cosa voglia dire “liberamente”, e che cosa “del proprio corpo”, nel caso della, delle, maternità.

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