Il filo che lega Mattarella, Meloni e Panetta nel pressing su Moody’s

Le parole del capo dello stato contro le “agenzie di rating” non sono casuali. Sono il frutto del costante dialogo tra Quirinale-Palazzo Chigi-Bankitalia, con lo scopo di esortare a un giudizio oggettivo l’agenzia più severa con l’Italia

Potevano sembrare un po’ fuori contesto le parole del presidente della Repubblica, pronunciate durante cerimonia di premiazione dei Cavalieri del lavoro, sulle agenzie di rating. Ma non erano affatto casuali. Sono il frutto, se non di una strategia, quanto meno di un dialogo costante che, sul sistema economico del paese, il Quirinale tiene da un lato con Palazzo Chigi e dall’altro con la Banca d’Italia.

Dopo aver sottolineato la buona performance del pil italiano negli ultimi cinque anni, superiore a Francia e Germania, citando i dati di Bankitalia il Capo dello stato ha segnalato il “balzo” del nostro paese: “La posizione netta sull’estero, a giugno di quest’anno, era creditoria per circa 225 miliardi di euro. Una dimensione enorme: il 10,5 per cento del pil – ha detto Sergio Mattarella –. Irragionevole che non venga notato dalle agenzie di rating nel valutare prospettive e affidabilità dell’economia italiana”.

Le parole di Mattarella possono apparire quasi fuori fuoco e, addirittura, in contrasto con quelle pronunciate, oggi, dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che, invece, dopo che S&P ha confermato il rating dell’Italia e Fitch e Dbrs hanno alzato l’outlook a “positivo”, ha commentato dicendo che “lo spread si è ridotto in modo significativo e le agenzie di rating promuovono l’azione del governo”.

In realtà, le posizioni sono condivise e non contraddittorie. Il punto è che proprio in questi giorni Moody’s, l’altra grande agenzia di rating, sta facendo una serie di incontri istituzionali a Roma prima di esprimere il suo giudizio sull’Italia previsto per il prossimo 22 novembre. Moody’s è l’agenzia che dà all’Italia il rating più basso Baa3, appena un notch sopra il non-investment grade. Lo scorso anno ha alzato l’outlook dell’Italia dà negativo a stabile, ma è convinzione diffusa nelle istituzioni italiane che il giudizio di Moody’s sull’Italia sia eccessivamente severo rispetto ai fondamentali della nostra economia. Come peraltro dimostrano i recenti giudizi di S&P, che ha confermato il rating BBB (un gradino sopra Moody’s), e di Fitch, che ha confermato il rating BBB ma migliorando l’outlook da “stabile” a “positivo”.

Naturalmente sarebbe inopportuno che il governo facesse pressioni su un’agenzia di rating poco prima della sua “sentenza” e, naturalmente, il richiamo del Capo dello stato a valutare con maggiore attenzione i fondamentali dell’economia italiana è generico e non indirizzato a una specifica società. Ma il timing e l’identikit lasciano pochi spazi per l’interpretazione. Perché nei giudizi emessi lo scorso 18 ottobre, insieme alla presa d’atto di un miglioramento rispetto alle previsioni della crescita e del deficit, e quindi del debito pubblico, sia Fitch sia S&P hanno segnalato tra i punti di forza dell’Italia la crescita dell’avanzo delle partite correnti e della posizione netta sull’estero. “La posizione sull’estero dell’Italia costituisce un punto di forza creditizia”, scrive S&P.

Perciò l’affermazione del Capo dello stato sul fatto che è “irragionevole che non venga notato dalle agenzie di rating” tutto ciò quando valutano l’affidabilità del paese, non va tanto interpretata come la litania un po’ complottista dell’Italia maltrattata dalla finanza internazionale, ma come l’esortazione a prendere atto dei miglioramenti strutturali dell’economia italiana che già altre agenzie di rating hanno registrato.

Un miglioramento dell’outlook da parte dell’agenzia più severa con l’Italia al termine di questo round di giudizi, rafforzerebbe l’immagine dell’Italia sui mercati soprattutto in una fase in cui la Francia è in forte difficoltà sulla finanza pubblica e la Germania sul fronte della crescita. Questo, naturalmente, non cambierebbe radicalmente la situazione finanziaria dell’Italia, ma potrebbe contribuire a far abbassare lo spread di circa venti-trenta punti, portandolo a quota 100, e rafforzando così la discesa in atto da un paio d’anni.

Non è la prima volta che il Presidente della Repubblica pungola le agenzie di rating. Lo aveva già fatto a inizio settembre, prima dell’avvio del round di giudizi delle agenzie di rating. Intervenendo al Forum Ambrosetti di Cernobbio, Mattarella disse che “il termometro della percezione dei mercati sull’affidabilità” dell’Italia era “quanto meno opinabile”, perché a fronte dell’evidente peso del debito pubblico verrebbero trascurati alcuni elementi di forza come la ricchezza delle famiglie italiane.

Stavolta, il presidente della Repubblica ha citato un altro fattore, già evidenziato dal governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta: la posizione patrimoniale sull’estero, che in dieci anni è passata dall’essere debitoria per il 23 per cento del pil a essere creditoria per il 10 per cento del pil: un miglioramento di oltre 30 punti, con una media di oltre 50 miliardi all’anno. Sempre Panetta, oggi, nel suo intervento per la Giornata mondiale del risparmio, ha sottolineato come questo punto di forza italiano, un flusso di risparmio privato di oltre 400 miliardi, però solo in parte viene investito in Italia. Il punto di forza è, quindi, anche la spia di una fragilità: l’incapacità di attrarre e mobilitare gli investimenti, che dovrebbe essere affrontata con le riforme. Questi sono i compiti che spettano al governo.

Ciò non toglie che, allo stesso tempo, il paese cerchi di far riconoscere i propri progressi. E siccome certe rivendicazioni non può farle direttamente la premier Giorgia Meloni, si espone il Capo dello stato. Non c’è alcun coordinamento. Ma Palazzo Chigi, il Quirinale e la Banca d’Italia si parlano e, ognuno nella sua autonomia, cercano di perseguire l’interesse del paese. O della Nazione. A seconda del rispettivo linguaggio.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali

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