In tema di migranti la posizione dell’opposizione appare schiacciata su un avvicendarsi di “no”, senza offrire alcuna alternativa alla linea della maggioranza di governo. Servirebbe tenere a mente le parole del capo dello stato, secondo cui la via dell’integrazione passa per il lavoro e i flussi controllati
Sono ormai due settimane che il governo Meloni vive una fase di conflitto con la magistratura italiana, sul tema dell’immigrazione. Il film ormai è tristemente noto, per entrambe le parti. Lo scorso 16 ottobre Meloni inaugura il presidio italiano in Albania, con il bollino dell’Unione europea. Tre giorni dopo il tribunale di Roma non convalida il trattenimento dei migranti fatti arrivare in Albania, interpretando in modo restrittivo un pronunciamento della Corte di giustizia europea sui metodi di definizione dei paesi sicuri per le procedure accelerate di trattenimento dei migranti. Cinque giorni dopo, il governo riunisce il Consiglio dei ministri per scrivere un provvedimento pensato per ridare maggiore potere all’esecutivo nella definizione della lista dei paesi sicuri. Due giorni fa, il tribunale di Bologna sceglie infine di rinviare alla Corte di giustizia europea il suddetto decreto legge. Non solo per verificare se il governo abbia esercitato un suo diritto effettivo, o se invece abbia calpestato il diritto europeo. Ma anche per verificare se esista o meno la possibilità che i criteri utilizzati da un governo per definire i paesi sicuri possano pesare più di quelli utilizzati da un magistrato (in assoluto, e non solo per le procedure d’urgenza, come si legge nel punto a pagina venticinque del ricorso del tribunale di Bologna).
Di fronte a questo complicatissimo intreccio, ci sono almeno due posizioni estremamente chiare. La prima posizione è quella della magistratura, non tutta, quella più schierata sul fronte progressista che sostiene la necessità, l’inevitabilità e il dovere morale da parte delle procure di evitare che un immigrato che arrivi in Italia senza avere diritto a richiedere l’asilo possa essere rimpatriato. Tesi: nessun immigrato che scappa dal suo paese può essere in quel paese più al sicuro rispetto a un qualsiasi paese d’Europa. La seconda posizione è quella della maggioranza di governo, secondo cui è particolarmente stravagante (a) il modo in cui i tribunali italiani hanno scelto di interpretare in modo restrittivo una sentenza della Corte di giustizia europea sul tema dei paesi sicuri e (b) il fatto che un esecutivo non possa avere il diritto a definire in autonomia le sue politiche migratorie. Attorno a questi due fronti si è montata molta panna ma il succo del conflitto in fondo si trova qui. Quel che manca con evidenza tra questi due schieramenti è un altro schieramento che in teoria, all’interno di questo scontro, avrebbe dovuto e potuto imporre una sua agenda per indicare una via alternativa a quella suggerita dal governo. Ma dopo due settimane di battaglia, l’impressione, purtroppo non smentita dai fatti, è che la posizione delle opposizioni, e in particolare quella del principale partito del centrosinistra, ovvero il Pd, sia rovinosamente schiacciata sulle posizioni della magistratura, a cui ancora una volta, come in molte altre occasioni nel passato, l’opposizione ha scelto di dare ampia delega per rappresentare la sua linea politica su una materia particolarmente delicata e sensibile come l’immigrazione. Il risultato di questa brillante strategia è che l’opposizione di fatto si ritrova rappresentata, sul tema dell’immigrazione, da una serie di “no”, che messi l’uno accanto all’altro sono la sintesi politica di una posizione priva di un senso politico.
E così l’opposizione non solo non vuole che un governo possa avere margini discrezionali nel decidere quali siano i paesi da definire sicuri e quali no. Ma non vuole neanche molto altro. Per esempio, non vuole che in Europa si porti avanti il Patto sull’asilo e sui migranti – Patto che invece il Partito socialista europeo sostiene – che consentirà dal 2026 di avere procedure accelerate sul rimpatrio dei migranti con la benedizione anche dell’Europa. Per esempio, non vuole che in Africa si porti avanti un modello simile al Piano Mattei, che potrebbe aiutare a creare condizioni nei paesi da cui partono molti migranti tali da disincentivare parte dell’immigrazione. Il non avere una posizione diversa dal “no”, “no”, “no” sull’immigrazione porta il Pd a essere inevitabilmente percepito come un partito che considera i confini poco importanti, che considera le frontiere superate, e che considera ogni migrante che arriva in Italia come un migrante che semplicemente l’Italia deve accogliere senza farsi troppe domande. Una non linea semplicemente rovinosa, non perché vi sia un’invasione da governare, che non c’è, ma perché non offre un’alternativa di sistema alla linea offerta dalla maggioranza di governo. E una linea che basterebbe in fondo poco per essere corretta, definita, e che basterebbe far coincidere meno con l’agenda Zuppi-Saviano, detto con simpatia e rispetto, e più con l’agenda del presidente della Repubblica.
Due concetti semplici. Il primo, Mattarella lo ha ripetuto ieri mattina: “Il lavoro è potente strumento di integrazione e penso ai tanti immigrati e alle necessità del mondo produttivo”. Il secondo lo ha ripetuto qualche giorno fa in Germania: “Noi risolveremo il problema quando saremo stati capaci di organizzare ingressi regolari per il bisogno di manodopera che ha l’Europa. Ma regolari. Autorizzati. Togliendo chi desidera di migrare dalle mani dei trafficanti di esseri umani. Quando riusciremo a far questa sostituzione avremo risolto il problema”. La via dell’integrazione dei migranti è il lavoro, è il rapporto con le imprese, è il modello dei flussi controllati. E dunque, ma questa è una nostra sintesi, il tema è evidente. I confini si governano, le frontiere non si abbattono, l’accoglienza è sacra, l’Europa anche. Ma chi non vuole governare i confini e decide di delegare la propria linea e la propria identità alla magistratura sceglie non di stare dalla parte della legalità ma sceglie di stare da un’altra parte: semplicemente quella dell’incapacità.