Volkswagen annuncia chiusure, oltre alla riduzione di migliaia di posti di lavoro e dei salari. Mentre la filiera automobilistica italiana, già fiaccata dalla crisi in Stellantis, denuncia il taglio da parte del governo di oltre 4 miliardi al Fondo automotive
In Italia la crisi dell’automotive è vista molto come la crisi di Stellantis, che è di fatto l’unico produttore nazionale, con le conseguenti responsabilità addebitate al management (Carlos Tavares) e alla proprietà (John Elkann, che ha ceduto il controllo ai francesi). In realtà la questione è più complessa e più profonda: la crisi è europea. Volkswagen, secondo quanto sostiene il consiglio di fabbrica, ha in programma di chiudere in Germania almeno tre stabilimenti, tagliare decine di migliaia di posti di lavoro e tagliare i salari del 10 per cento. La ristrutturazione segnerebbe la prima chiusura di stabilimenti nazionali negli 87 anni di storia del gruppo e aprirebbe un confronto con i sindacati metalmeccanici come Ig Metall e anche la politica, a partire dal governo, dato che Volkswagen ha in Germania circa 300 mila dipendenti. Per ora il gruppo di Wolfsburg non ha confermato l’ipotesi né tantomeno l’ha esclusa, ma il fatto che la più grande casa automobilistica europea pensi seriamente di chiudere le fabbriche in patria rende l’idea della gravità della crisi. Da tempo il management afferma che serve una profonda ristrutturazione per fronteggiare la concorrenza della Cina, il rallentamento delle vendite e la costosa transizione verso l’elettrico. “Guadagniamo troppo poco dalle nostre auto – ha dichiarato il ceo Thomas Schäfer – allo stesso tempo, i nostri costi per energia, materiali e personale hanno continuato a crescere”. Sono parole molto simili a quelle pronunciate da Carlos Tavares in Parlamento. Per l’Italia è una notizia terribile, dato che il 30 per cento della componentistica delle auto tedesche è fatto da imprese italiane. Sempre ieri l’Anfia, l’associazione della filiera automobilistica, ha denunciato che il governo nella legge di Bilancio ha tagliato 4,6 miliardi al Fondo automotive. Ma più in generale, è l’intera Europa che dovrebbe aprire una riflessione sulla sostenibilità economica delle sue scelte di politica industriale e ambientale. Perché così per l’automotive la transizione rischia di trasformarsi in desertificazione.