La Cina sa come approfittare dell’instabilità giapponese: la devastante sconfitta alle elezioni di domenica e una insoddisfazione così ampia e macroscopica che nessuno aveva previsto
Taipei, dalla nostra inviata. “Abbiamo ricevuto un giudizio estremamente severo da parte dell’opinione pubblica”, ha detto ieri il capo del governo giapponese Shigeru Ishiba, primo ministro da neanche un mese. Ha riconosciuto la devastante sconfitta alle elezioni di domenica della Camera bassa della Dieta, il Parlamento giapponese, ma ha pure confermato che non si dimetterà, non prima di aver avuto “colloqui con le altre forze politiche”. Perché adesso l’unico modo per il suo Partito liberal democratico di restare al governo è trovare alleati per una nuova coalizione. E nel frattempo si apre una stagione di instabilità politica inedita – per un paese chiave dell’Indo-Pacifico, nonché quarta economia del mondo – che ha effetti anche fuori dai confini nazionali. Ieri fonti del governo di Taiwan hanno detto al Foglio, sottovoce, che questa è una fase particolarmente critica.
“Due elezioni così importanti per la sicurezza di Taipei, quelle in Giappone e quelle in America, potrebbero creare una fase di precarietà che la Repubblica popolare cinese potrebbe sfruttare per mandare segnali”, sia alla comunità internazionale sia a chiunque arrivi al potere a Washington e Tokyo, ha spiegato la fonte al Foglio. Ad agosto scorso Ishiba aveva guidato una delegazione di parlamentari giapponesi in visita a Taipei, dove aveva incontrato il presidente Lai Ching-te. Ma adesso, com’è avvenuto con l’America, il Partito progressista democratico di Taiwan inizia a domandarsi se non sia necessario ricominciare il dialogo altrove, con altre formazioni politiche anche in Giappone.
Dal punto di vista politico, quello che è successo domenica ha dell’incredibile. La formazione politica che è stata più a lungo al potere a Tokyo sin dal Dopoguerra non perdeva la maggioranza alla Camera bassa della Dieta sin dal 2009. E il Giappone, un paese abituato a cambiare un primo ministro al mese prima della stagione di Shinzo Abe, che si è chiusa nel 2020, aveva sempre ritenuto il Partito liberal democratico la sua particolare fonte di stabilità. Ora si è tutto rovesciato. Ishiba, copiando Abe che lo aveva fatto diverse volte, aveva annunciato elezioni anticipate subito dopo essere stato eletto presidente del Partito liberal democratico al posto di Fumio Kishida, in modo “un po’ azzardato”, dice oggi qualcuno. Il primo ottobre scorso Ishiba aveva quindi avuto l’incarico da primo ministro, come prevede l’ingessato sistema istituzionale nipponico. Le elezioni, nella logica del nuovo leader, avrebbero dovuto rafforzare il suo claudicante incarico, azzoppato da diversi scandali che hanno colpito la formazione politica negli ultimi due anni. L’opinione pubblica ha invece premiato tutti gli altri partiti tranne i due del governo, il Partito liberal democratico (passato da 279 seggi a 215) e il suo partner di minoranza, il partito Komeito (passato da 32 a 24 seggi), e un altro partito della destra giapponese, l’Ishin no Kai (da 44 a 38).
Una insoddisfazione così ampia e macroscopica che però nessuno aveva previsto. Il partito che ha beneficiato di più dei voti contro il governo è stato il Partito democratico costituzionale, principale formazione dell’opposizione guidata dall’ex primo ministro Yoshihiko Noda – noto soprattutto perché era al governo durante la tragedia del terremoto e dello tsunami del 2011 – che ha ottenuto 148 seggi sui 98 che aveva, e che adesso è in cerca di alleati per tentare la formazione di una maggioranza. “Se guardiamo alle elezioni del passato, nella maggior parte dei casi gli elettori, messi alle strette, continuavano a votare il Partito liberal democratico”, dice al Foglio Takakazu Yamagishi, docente di Scienze politiche alla Nanzan University. “Avendo avuto un’esperienza simile per molti anni, credo che questa volta il partito non sia stato in grado di analizzare con calma la portata della rabbia degli elettori”. Secondo Yamagishi è presto per prevedere eventuali cambiamenti nella politica estera giapponese, poiché molto “dipenderà da quali partiti e da come il Partito liberal democratico lavorerà insieme per riformare il governo, o se i partiti di opposizione riusciranno a formare una coalizione per prendere il potere”.