Stefano Firpo direttore generale di Assonime, l’associazione delle società per azioni, afferma che la Legge di Bilancio nasconde “pericolose intromissioni nell’economia privata: moltissime imprese quotate si troverebbero un rappresentante del ministero nei loro collegi sindacali”
Stupore, meraviglia, irritazione, scandalo, speranza. Nel giro di poche ore una girandola di sentimenti e reazioni ha accolto nel mondo dell’industria l’ultima trovata del governo per imprimere il marchio dello stato sul mercato, con un commissario politico inviato dal ministero dell’economia e delle finanze. Se il diavolo si nasconde nei dettagli il populismo s’annida negli anfratti dei disegni di legge e dei suoi innumerevoli articoli. Quello denominato 112 della legge di bilancio per il 2025 recita senza mezzi termini che “al fine di potenziare le funzioni di controllo di controllo e di monitoraggio della finanza pubblica, un rappresentante del Mef siederà nei collegi di revisione o sindacali” in tutte le aziende che hanno usufruito di fondi pubblici, società, enti, organismi e fondazioni che li ricevono “anche in modo indiretto e sotto qualsiasi forma”. La norma si applica a condizione che il contributo a carico dello Stato sia “di entità significativa”. Quanto significativa? Lo stabilirà un decreto entro la fine del prossimo marzo, nel frattempo si applicherà a oltre centomila euro l’anno. Non una gran cifra, se è così sarebbe interessata una miriade di soggetti economici privati in ogni campo, di ogni tipo e taglia. Tanto per rincarare la dose e introdurre un’altra discriminazione anti mercato, sono escluse le società controllate dagli enti locali.
Di “stupore” parla Stefano Firpo direttore generale di Assonime, l’associazione delle società per azioni, in una dichiarazione al Foglio: “Il suo ambito di applicazione rischia di interessare svariate migliaia di imprese: in virtù di contributi legittimamente ottenuti anche di esigua entità, imprese private, anche multinazionali, moltissime imprese quotate, praticamente tutti i giornali, diverse banche si troverebbero un rappresentante dello stato nei loro collegi sindacali a controllare non si sa bene che cosa visto che i contributi sono erogati dallo stato dopo scrupolosi controlli di ammissibilità. Per come scritta la disposizione costituisce una pericolosa e ingiustificata intromissione dello stato nell’economia privata. Spero davvero che si tratti di un errore e che la norma venga ritirata”.
La stessa speranza è condivisa dalla Confindustria che per il momento resta in silenzio, ma lavora affinché il governo faccia marcia indietro. Ieri all’assemblea dell’Unione industriali di Torino, Antonio Tajani ha parlato di “una norma priva di qualsiasi senso” che deve essere “corretta”. E ha aggiunto: “Non serve un sistema che rischia di trasformare il Mef nella Stasi”. Se è così, non basta correggerlo, l’articolo va soppresso. Per Tajani è opera “forse di qualche burocrate del ministero”. In realtà l’aveva anticipato sia pure in modo vago anche il ministro delle imprese e del nade in Italy Adolfo Urso, quindi non è un colpo di mano del deep state. L’ha approvato il governo, deve essere stato discusso. “Ho già parlato con il ministro Giorgetti, mi ha assicurato che verrà rimodulata quella norma che non ha senso”, ha rassicurato Tajani. Si è espresso come vice presidente del consiglio e ministro degli esteri, come leader di Forza Italia o, uno e trino, come esponente di punta del governo? Lo vedremo nei prossimi giorni. Rimodulare una legge insensata sembra anch’essa una scelta con poco senso. Anche prendere la garanzia da Mediocredito Centrale genera un contributo di stato che le imprese dichiarano nei propri bilanci. E nessuna banca presta denaro senza la garanzia statale.
Ieri mattina un giro telefonico nei territori del nord-est, tra le organizzazioni locali che rappresentano quella miriade di imprese alle quali si vuole mettere il morso, nessuno dei nostri interlocutori si diceva al corrente. Alcuni facevano notare che esiste in Italia il Registro nazionale degli aiuti e le norme europee ne impongono la pubblicazione. Il rappresentante del ministero non si aggiunge, ma sostituisce un membro alla scadenza del collegio. Toccherà all’ente o alla società pagarlo e l’emissario governativo riferirà alla Ragioneria generale dello stato. Ma non sarà un osservatore neutrale, da quel che si capisce; essendo il rappresentante del Tesoro che garantisce l’erogazione del contributo avrà voce in capitolo sull’utilizzo dei fondi. Verranno impiegati migliaia di funzionari del Mef, si pescherà nell’albo dei revisori o ci sarà un albo parallelo che faccia capo direttamente al governo? Non è una questione tecnica né secondaria, al contrario ha a che fare con la natura stessa di un provvedimento di ispirazione illiberale.