Lo spettro della bomba di Teheran viene sfruttato dagli ayatollah per mantenere il potere, mentre “europei e americani chiudono gli occhi sull’Iran e non hanno il coraggio di affrontarli”, ci dice lo storico israeliano, secondo cui nel nuovo mondo post-occidentale la finestra di opportunità rischia di chiudersi a breve
“Il vero confronto fra Iran e Israele è stato posticipato: se Israele non distrugge il programma atomico iraniano, dovranno farlo gli americani, perché gli ayatollah si aggrappano al nucleare per restare al potere e Israele non può permettersi che riescano a sviluppare la bomba”. Così al Foglio Benny Morris, il primo dei “nuovi storici” israeliani, che perora un attacco alle installazioni atomiche iraniane dal 2008, quando scrisse sul New York Times un articolo che si concludeva così: “Data la mentalità fondamentalista dei mullah che governano l’Iran, Israele sa che la deterrenza potrebbe non funzionare come ha fatto con gli uomini razionali che hanno governato il Cremlino e la Casa Bianca durante la Guerra fredda. E’ probabile che usino qualsiasi bomba costruiscano, sia per ideologia sia per paura di un attacco nucleare preventivo israeliano”. Sul fatto che gli iraniani alla bomba atomica non arriveranno mai alla, Morris ci mette i guardia ricordando il caso nordcoreano.
“Nel caso di attacco all’Iran, Israele può aspettarsi rimproveri dai media internazionali, dai giovani ignoranti senza cervello nei campus e da vari leader mondiali, ma godrà anche di una significativa comprensione se non di un sostegno attivo” spiega lo storico israeliano Benny Morris al Foglio. “Una volta invece che gli ayatollah avranno le armi nucleari potrebbero benissimo usarle contro Israele e lasciare che Allah li protegga da un secondo attacco di Israele. Dopotutto, abbiamo a che fare con fanatici messianici. E persino se l’Iran si astiene dal lanciare armi nucleari, il suo semplice possesso, in combinazione con il dichiarato desiderio di distruggere Israele di cui abbiamo visto abbondanti prove negli ultimi mesi, scoraggerebbe potenziali investimenti e immigrati dal raggiungere Israele e farebbe sì che molte brave persone fuggano dal paese. Sullo sfondo di ripetuti attacchi orchestrati dall’Iran a Israele alla maniera del 7 ottobre, Israele decrescerebbe e si estinguerebbe. Le organizzazioni sunnite, e i paesi sunniti confinanti, riconoscerebbero la debolezza di Israele e dell’America e la forza dell’Iran e si unirebbero alla cerchia di stati ostili guidata da Teheran e non c’è garanzia che i leader di Europa e Stati Uniti verrebbero in nostro aiuto”.
Finora, la risposta israeliana era stata ritardata. “L’arrivo previsto dei Thaad americano e la loro integrazione nei sistemi di intercettazione israeliani sembrano in parte spiegare il continuo ritardo di Israele nella risposta all’assalto iraniano del 1 ottobre, una risposta che il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha pubblicamente previsto sarebbe stata ‘letale, precisa e sorprendente’. Un altro motivo del ritardo potrebbe essere il continuo dialogo israelo-americano e i disaccordi sulla natura della risposta israeliana. Washington ha più o meno pubblicamente ‘consigliato’, ovvero avvertito, Israele di non prendere di mira le installazioni nucleari o gli impianti di produzione petrolifera dell’Iran. Attaccare i primi, sostiene l’argomentazione, spingerebbe l’Iran in una guerra aperta e totale contro Israele e forse metterebbe in pericolo gli interessi americani in medio oriente, mentre attaccare i secondi potrebbe innescare un contrattacco iraniano, come ha avvertito Teheran, contro gli impianti petroliferi in Arabia Saudita, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti, devastando così i mercati petroliferi globali e causando un forte aumento dei prezzi del carburante che potrebbe influire negativamente sulle possibilità dei Democratici nelle prossime elezioni statunitensi”.
Morris fustiga la miopia occidentale. “Europei e americani chiudono gli occhi sull’Iran e non hanno il coraggio di affrontarli. Temono di finire come in Iraq e temono il mondo islamico. Perché l’islam si schiera con chi si oppone a Israele e all’occidente. Gli europei si mostrano deboli. Gli islamisti vogliono un mondo che diventa musulmano, odiano ebrei, cristiani, occidentali: è un misto di illusione e un modo occidentale di vedere il mondo, in cui siamo tutti buoni e il male non esiste. Ma l’islam per molte ragioni è molto peggio della cristianità. Ma questo è contrario al politicamente corretto”. Khamenei guarda le proteste in occidente. “E sa che quelli sono i suoi utili idioti, che sono stupidi, ma che lavorano per lui. Khamenei è un misto di intelligenza e senilità, come l’Urss alla fine della sua storia”.
Se cadesse l’Iran, la pace sarebbe più vicina in medio oriente: “Gli ayatollah sono sostenuti da coloro che furono privati del potere dallo Scià, che era un re strumento dell’occidente e ai loro occhi un alieno nell’islam. La classe media nel 1979 sostenne Khomeini, che poi li uccise tutti. Michel Foucault era a Teheran a sostenere i mullah, lo Scià era un imperatore, poco liberal, quindi accettarono gli islamisti”. La resa dei conti tra Israele e Iran, dice Morris, potrebbe arrivare dal 5 novembre al 2 gennaio, dal voto americano all’insediamento del nuovo presidente. “Dopo, che sia Trump o Harris il presidente, la finestra di opportunità si chiuderà. Non mi fido di Trump, gli interessa solo se stesso e forse un po’ l’America, ma non Israele o l’occidente, mentre Harris temo che sarà ostaggio dell’ala woke del Partito Democratico. Forse siamo di fronte a un nuovo mondo post-occidentale, anche se cinesi e russi non sono alleati naturali e in futuro ci sarà una guerra fra di loro. Ma per ora hanno interessi comuni a cacciare gli occidentali”.