La nona giornata di Serie A ha messo a referto trentaquattro gol, qualcuno di ottima fattura, molti dovuti a errori difensivi
Trentaquattro reti segnate sono il record stagionale in Serie A, a coronare una continua progressione ascendente di gol dalla prima giornata. Attacchi devastanti o difese fragili? Nonostante la bellezza di alcuni gesti atletici (con Lorenzo Lucca che si reincarna in Roberto Bettega o nel suo omonimo Pruzzo, e Lucas Beltrán capace di far giocare bene le punte attorno a sé), è facile propendere per la seconda opzione: i reparti arretrati di molte squadre, dalle scudettabili Inter e Juventus alle pericolanti Venezia e Genoa, passando per la Roma, l’Hellas Verona e sicuramente altre, sono in crescente sofferenza. E questa, va da sé, è una nota stonata non solo per le rispettive società, ma anche per l’intero movimento calcistico, con un occhio alle competizioni internazionali di club o azzurre. Forse si cerca sempre di realizzare più degli avversari, curando meno la fase di non possesso? È una risposta plausibile, magari non l’unica, che chiama in causa anche il livello individuale dei protagonisti e il mantenimento di certe rendite di posizione da mercato difficile.
Nel frattempo che Massimo Gramellini chiede qual è stata l’ultima volta che Mike Ellertsson e Michael Svoboda hanno fatto qualcosa per la prima volta (il gol nella massima serie, ieri entrambi), c’è chi sopra la – quasi – miglior difesa costruisce le proprie fortune: l’Empoli di Roberto d’Aversa passa indenne anche la trasferta di Parma e si scopre in zona tranquilla sfoggiando il portiere rivelazione, Devis Vásquez già tardivo terzo a Milanello, un leader silenzioso come Ardian Ismajli, la sorpresa Saba Goglichidze e l’enfant du retour Mattia Viti. Non proprio il roster del Bayern più impenetrabile della sua storia, ma basta e avanza per stare a ridosso di Juve e Napoli tra le retroguardie meno battute. Aspetto, quest’ultimo, che in Italia è sinonimo di successo o comunque di salvezza: un’apparente antinomia con gli esiti della nona giornata e con le velleità offensive dei suddetti allenatori.
Questioni che tangono marginalmente Gian Piero Gasperini, il quale vede sprigionare nello stesso momento tutto il talento dei suoi migliori elementi offensivi: più che i numeri, il modo autoritario attraverso il quale l’Atalanta sta vincendo le partite di ottobre – Celtic Glasgow a parte – dice che i nerazzurri non possono più nascondersi, e dopo meno di dieci anni dall’inizio del boom lo scudetto non può non essere un obiettivo. Del resto, oggi, in Italia e in Europa per un atleta sulla rampa di lancio scegliere l’Inter già finalista di Champions League o la “piccola” squadra di Bergamo è ritenuta la stessa cosa, lo provano Lazar Samardžić, Gianluca Scamacca e anche Nicolò Zaniolo.
La vera nota greve della settimana viene però emessa dai tromboni che si sono affannati a suonare il caos preventivo a Bologna-Milan, poi non disputata: dallo scatto in avanti del sindaco che ha ordinato lo stop, ai tentativi della Lega Calcio di traslocare a Como, Verona o la stessa Empoli, con l’area tecnica rossonera pronta a partire per destinazione ignota e le interessenze casalinghe al riparto di biglietti, abbonamenti, incassi, ci hanno rimesso il calcio e la regolarità del calendario. Davvero non si crede che nel 2024-quasi-2025 sia impossibile imporre lo svolgimento del match a porte chiuse subito (magari proprio al Dall’Ara), anziché attendere ben cinque mesi a situazioni radicalmente mutate negli organici, nelle classifiche, nei bioritmi atletici?
Sì, è anche colpa di un torneo che annovera inutilmente venti squadre, con incontri che ben campeggerebbero nelle vette della B, e dove trovare una data decente per i recuperi diventa la caccia all’ago nel pagliaio, considerate anche le cinque formazioni in Champions e le tre nelle altre competizioni europee, più la Coppa Italia. E tra poche ore sarà di nuovo campionato per il turno infrasettimanale: l’epistassi dell’intasamento, la sagra del turn over che nessuno vorrebbe perseguire (se le cose vanno bene, lasciale andare). Ma pare che rifugiarsi nel dover essere, prospettare alternative percorribili, guardare alle buone pratiche nel tempo e nello spazio disturbi troppo i manovratori, i fondi, i velocisti del pallone. Per costoro, se le cose bene non vanno, se ne cura chi paga le conseguenze.