Il derby d’Italia ha visto tanti gol e tantissimi errori difensivi e ha avuto il merito di togliere qualsiasi alibi ad Antonio Conte. Alla Roma intanto vivono un triste autunno inatteso ma non inaspettato
Il pomeriggio domenicale di Inter-Juventus ha avuto due meriti indiscussi. Il primo è stato quello di far vedere in mondovisione che in Italia si gioca all’attacco, si vedono partite spettacolari e piene di gol e che ci sono giocatori di ottimo livello. Le réclame pubblicitarie anche se non mentono, quasi mai dicono del tutto il vero, sono fatte per creare il dubbio che un prodotto possa essere utile o dilettevole o quanto meno che è meglio averlo che non averlo. È stata una ottima réclame pubblicitaria Inter-Juventus 4-4 per la Serie A. A tal punto da pensare male, che fosse una sceneggiatura ben scritta da qualcuno di bravo, ma che ha poca voglia di lavorare e quindi si impegna solo una volta ogni tanto, dove ogni tanto è tendente al quasi mai. Ocio però che sul risultato hanno pesato, oltre a una serie di ottime azioni offensive (quella che ha portato al gol di Timothy Weah, quella del gol di Henrikh Mkhitaryan) di entrambe le squadre e qualche grande giocata individuale (il gol di Kenan Yildiz), soprattutto gli orrori difensivi da calcio parrocchia, calci dati a caso da difensori e, soprattutto, un atteggiamento ballerino di difensori talmente goffi da obbligare a farci qualche domanda (ce le eravamo già fatte). Una su tutte: sono davvero loro i migliori che abbiamo?
Il secondo merito di Inter-Juventus 4-4 è aver permesso al Napoli di accumulare due punti di vantaggio sia sui nerazzurri sia sui bianconeri. Così facendo la squadra di Antonio Conte ora dovrà iniziare a interpretare la parte della squadra che gioca per lo scudetto, senza più fare la scena dell’imbucata alla festa, che l’allenatore aveva tentato di propagandare come realtà. E tutto questo può far bene sia agli azzurri, sia ai loro avversari, a tutti quelli almeno che ritengono davvero di poter puntare alle primissime posizioni della Serie A. Il Napoli è squadra che bada più ai risultati che all’estetica, è aggressiva senza essere esuberante, coordinata senza essere bilanciata, vincente senza essere strabordante. Ocio però che è anche piena di certezza senza essere però davvero essere sicura di sé. Antonio Conte lo sa benissimo, per questo ha sempre cercato il profilo basso, quello da piangina che si è portato sempre appresso. Ora gli toccherà provare a fare la parte di chi vuole comandare. Tra farlo davvero e limitarsi ad andare col trattore in tangenziale (andiamo a comandare) però c’è una bella differenza.
In ogni caso sempre meglio, almeno ora, essere un Antonio Conte che un Ivan Juric. L’allenatore della Roma non può ambire a un trattore in tangenziale, piuttosto è in ciabatte nel locale. Al Franchi di Firenze la Roma ha fatto la parte del pugile scarso alle prese con uno più motivato, in questo caso la Fiorentina (che ha giocato bene, come i tifosi si aspettavano di vedere giocare la squadra di Raffaele Palladino). E tutto è sembrato infinitamente più brutto di quello che in realtà è. Se la immaginavano diversa questa stagione i tifosi della Roma. Sognavano una grande squadra con i guizzi di Dybala, la fantasia ciociara di Matias Soulé e finalmente un signor attaccante, perché Artem Dovbyk è un signor attaccante. Le speranze estive si sono trasformate in un autunno triste, ancor più triste se confrontato con quello della Lazio, che gioca bene, vince ed è costata meno della metà dei soldi gettati qua e là dalla dirigenza giallorossa. Ocio però che Roma si è trasformata nella Napoli dell’Ottocento e di parte del Novecento dove la realtà veniva osservata con il filtro della tragicommedia. Non tutto è tragico, anche se molto sta diventando comico e per evitare il crollo basterebbe fare ammenda, capire di aver fatto una cavolata a credere che tutte le colpe di un avvio mediocre fossero di Daniele De Rossi. Il fu capitan futuro forse non è un esteta del calcio, ma quanto meno aveva chiaro in mente quali fossero i limiti dei suoi uomini e dell’ambiente che li circonda e aveva dato alla squadra una decenza. Di tempo ce ne è ancora, basterebbe agire senza continuare a dare tempo al tempo senza accorgersi che facendo così serve trovare il tempo per scappare.