In carriera ha collezionato 170 copertine di Sports Illustrated e 40 del Times, arrivò a Kinshasa sull’onda della fama conquistata a soli 22 anni grazie alla foto più iconica dello sport moderno
Cosa vi siete persi voi che 50 anni fa non eravate ancora nell’età della ragione, ma potete ancora recuperare. Basta riguardare “The Rumble in the Jungle”, quello che è considerato uno dei principali eventi della storia dello sport, attraverso le immagini realizzate dal più grande fotografo sportivo di sempre. Pensate: The Greatest della fotografia sportiva che immortala the Greatest del ring, Neil Leifer che con le sue camere piazzate a 24 metri di altezza (la cosiddetta inquadratura zenitale) sopra il ring di Kinshasa il 30 ottobre 1974 ci regala una visione inedita del Mondiale dei massimi conquistato da Muhammad Ali contro il campione George Foreman. Tutto questo nei libri fotografici The Fight con i testi del grande Norman Mailer e Boxing, 60 years of Fight and Fighters, entrambi editi (inizialmente solo a tiratura limitata) da Taschen. Ora che tutto il mondo parla del cinquantesimo anniversario del “Terremoto nella giungla” in Zaire, che riposizionò sulla mappa geografica quel lembo dimenticato dell’Africa come era nelle intenzioni del dittatore Mobutu Sese Seko e dell’organizzatore Don King, nessuno meglio di un testimone diretto così importante può raccontare quella notte (erano le 4 locali) in cui per la prima volta l’occhio di tutto il mondo sportivo si poggiò sul cuore dell’Africa nera.
Sappiamo (più o meno) tutti come andò: il campione in carica George Foreman, favorito e amato anche dall’America dei bianchi, dopo aver messo alle corde lo sfidante Muhammad Ali per metà match, quasi per frustrazione all’ottava ripresa cedette il titolo all’indiscusso re dei massimi. Appunto un terremoto sportivo, un ko inaspettato di cui si discute ancora oggi con qualcuno che continua ad alimentare sospetti di combine che non condividiamo. Neil Leifer, che in carriera ha collezionato 170 copertine di Sports Illustrated e 40 del Times, arrivò a Kinshasa a 31 anni sull’onda della fama conquistata a soli 22 anni grazie alla foto più iconica dello sport moderno: Ali che sovrasta col pugno alzato lo sfidante Sonny Liston nella rivincita del Mondiale a Lewiston nel 65. E, ora che ha 81 anni, ci risponde al telefono dal suo salotto di New York comodamente seduto fra le foto appese alle pareti.
In questi giorni molti torneranno a sfogliare i suoi libri, diventati iconici, con le foto di Muhammad Ali.
“Posso anticiparvi che ci sarà una edizione aggiornata di “Boxing” con le foto che farò al Mondiale dei massimi Usyk-Fury del 21 dicembre in Arabia. Però non posso negare che le mie foto preferite restano quelle che feci dall’alto nel 1966 a Cleveland per Ali-Williams e nel 1974 per Ali-Foreman. Il ring quadrato, non deformato dal grandangolo, con la folla attorno e i giornalisti in primo piano ha ancora un effetto speciale su di me”.
Ci racconti come andò il viaggio, abbastanza rocambolesco.
“Il match era stato inizialmente fissato a fine settembre, così mi misi in viaggio insieme a un centinaio di giornalisti americani. Facemmo scalo in Lussemburgo e dopo la cena stavamo bevendo qualcosa nel bar dell’albergo quando ci fu comunicata la notizia che il match era stato rinviato per l’infortunio di Foreman. Non ci restò che tornare indietro a New York e ripartire quando il match fu riprogrammato a fine ottobre.
Come era l’atmosfera a Kinshasa?
“Molto elettrizzante. Eravamo abituati alla boxe di Las Vegas e del Madison Square Garden non certo in mezzo alla giungla. Oltretutto il match si disputò in piena notte: la pioggia che cadde prima e dopo si interruppe magicamente quando Ali e Foreman salirono sul ring. Anche la vigilia, col concerto di Miriam Makeba e le conferenze stampa, fu incredibile, ma io dovevo dedicarmi soprattutto al match”.
Chi era il suo favorito?
“Ero diventato amico di Ali grazie ai numerosi servizi fotografici su di lui ma se guardate il libro The Fight nei pronostici raccolti da Norman Mailer io indico Foreman vincitore per ko 4. Onestamente non credevo che in quel momento Ali potesse aver ragione della potenza di George. Ero talmente concentrato sulle foto che non capii bene cosa stesse facendo Ali nelle prime riprese ma alla settima mi accorsi, come tutti, che l’incontro stava prendendo un’altra piega con Foreman che si era stancato dei suoi stessi pugni. Ricordo che dopo il verdetto, in piena notte avemmo appena il tempo di raccogliere l’attrezzatura e tornammo in albergo. Un paio di giorni dopo ero già a New York”.
Come piazzò le sue famose camere?
“Era una tecnica già sperimentata in precedenza. Ne piazzai due sopra il ring, a 24 metri di altezza: inquadravano un angolo e il centro del ring. Posso dire che in questo caso l’abilità del fotografo era abbastanza relativa ma l’atmosfera e quel drammatico ko fecero tutto”.
Le sue foto finirono sulla copertina di Sports Illustrated?
“In quella occasione no perché fu utilizzata la magnifica foto ravvicinata del ko del mio collega Ken Regan. Ma ebbi molte foto all’interno e collegate al servizio di copertina”
Immaginiamo che una di queste foto sia appesa alle pareti del salotto da cui ci parla.
“E invece no. L’unica foto di ring che ho qui è quella di Ali-Williams del 1966, poi ce ne sono un paio di Ali e soprattutto tante dei fotografi a cui mi sono ispirato quando ho cominciato la carriera. Le mie foto preferisco che le collezionino gli altri anche attraverso il mio sito ufficiale”.
Da quel match è stato tratto il lungometraggio “When we were kings” che ha vinto l’Oscar nella categoria documentari. Ha conosciuto il regista Leon Gast anche lui scomparso?
“Leon ha creato un capolavoro, a Kinshasa con tutti gli impegni ci incontrammo solo per qualche minuto ma poi diventammo grandi amici. Raramente ho visto qualcosa di così bello al cinema, il settore a cui ora mi dedico anche io”
Pensa che la boxe in America abbia ancora il valore sociale di allora?
“Onestamente non lo so, seguo la boxe soprattutto in televisione. L’ultima produzione con Taschen riguarda i cavalli, la mia nuova passione sportiva. Le più grandi corse d’America ma anche equitazione, polo e steeplechase”.
Ma per tutti noi Neil resterà sempre il fotografo di Muhammad Ali.