Raffaele Cascone: “Non è più l’epoca dei cantanti arruolati in politica”

Psicoterapeuta, è stata una delle figure più carismatiche dell’underground musicale sin dagli anni Settanta. “Scommissi su Bennato e fu un successo. Certa sinistra è postfascista quanto la destra. Servono degli Stati generali della cultura”

Qualcuno si sarà ricordato, nella recente diatriba sui titoli di studio dei politici, di quel Raffaele che “è contento, non si è mai laureato, ma ha studiato e guarisce la gente”, citato nella canzone “Venderò” di Edoardo Bennato, ballata sempre attuale contro il conformismo. E qualcuno ricorderà quel Raffaele citato anche nel brano “Pronti a salpare” del 2015, come chi “predicava in tempi non sospetti che il rock è un sentimento che appartiene a tutti”. Raffaele esiste davvero e chissà se è d’accordo con il cantautore napoletano, il quale gratificato del Premio Tenco s’è tolto un po’ di sassolini dalle scarpe ricordando come dovette piegarsi anche lui, per il successo, alla sinistra dei Festival dell’Unità (già satireggiata nell’impietoso “Feste di piazza” scritto con Patrizio Trampetti e mai scalettato nei concerti). Raffaele Cascone si laureò, da una vita fa lo psicoterapeuta, cura testi specializzati ed è cultore della materia all’università di Palermo. Tuttavia i più agé lo rammenteranno per il lato dispari di carismatica figura dell’underground musicale. Fu tra i conduttori del programma “Per voi giovani” di Radio Rai, firma di Ciao 2001 dal 1970 e fautore del nuovo sound napoletano, contribuendo al successo di Bennato, Alan Sorrenti, James Senese, della Nuova Compagnia di Canto Popolare e di Pino Daniele.

Le “Feste di piazza” furono egemonia culturale o opportunità per nuovi talenti?

La sinistra seppe agganciare il movimento culturale che si era creato anche grazie a “Per voi giovani”, ma oggi auspicherei un superamento di questa contrapposizione, che mi sembra più un pretesto per sfogare una dissociazione o per conservare una identità di comodo. Se non ci riconciliamo ne fa le spese la cultura italiana, che non è solo di sinistra né solo di destra.

Negli anni Settanta però l’innovazione musicale fu quasi tutta etichettata.

Ingaggiavano nei Festival gli artisti che trasmettevo in radio. Avevo vissuto a Londra negli anni Sessanta e avevo intercettato le ondate del momento. Quando per caso mi fu proposto un provino alla Rai, e lo superai, feci tesoro delle esperienze. Per esempio sprovincializzai la musica popolare, ma allo stesso tempo convinsi Senese a cantare in napoletano e suggerii il nome al gruppo Napoli Centrale. Avevo apprezzato il rhytm and blues in Inghilterra e pensai: perché i cafoni del Mississippi non possono coesistere con i cafoni dell’Italia meridionale? Mandavo Bob Dylan e subito dopo, “direttamente dai Campi Flegrei”, Edoardo Bennato. La Ricordi lo aveva stroncato perché pensava che non funzionasse. Non piaceva la voce.

Come invertì la convinzione?

Comprai una copia dell’album “Non farti cadere le braccia”, che Ricordi nemmeno aveva in magazzino, e cominciai a mandarlo in radio ripetutamente. In poche settimane fu il successo. Non potevano credere che non ci guadagnassi niente.

La politicizzazione rendeva alle case discografiche?

Dopo il grande successo elettorale del Pci, l’indicazione delle case per gli artisti fu di spostarsi su una produzione più neutra. La politica non era più necessaria per vendere.

Oggi schierarsi lo è?

Oggi sono scomparsi persino i supporti musicali. È un mondo completamente cambiato e la contrapposizione destra-sinistra danneggia solo la cultura italiana. Se il governo non soffrisse di un eccesso di timidezza, dovrebbe promuovere gli stati generali della cultura chiamando tutti a raccolta. Non parlo solo della musica. L’Europa vive un momento di debolezza identitaria e una rinascita culturale italiana le sarebbe utile. Siamo un faro di civiltà del vecchio continente e il testimone dell’umanesimo e del cattolicesimo ecumenico lo abbiamo ereditato noi.

La sinistra è diventata più conformista rispetto all’epoca di “Venderò”? Raffaele senza laurea sarebbe “contento” come in quella canzone?

Certa sinistra italiana è la più provinciale del mondo, è ancora quella delle piadine di periferia e dei contadini che hanno mandato i figli a studiare in città e vedono nella laurea una emancipazione, anche adesso che gli atenei sono diventati diplomifici. Temo che a volte la sinistra non sia meno postfascista della destra che è accusata di esserlo, ma non si può campare più su questa contrapposizione. La scena di Totò dispiaciuto di sapere che Diocleziano è morto racconta l’Italia di adesso. Molti si comportano come se Diocleziano fosse ancora vivo. Nel frattempo però sono successe tante cose che fingiamo di ignorare. Siamo alla stregua di macchiette, mentre il mondo cammina.

Raffaele dj, psicoterapeuta, musicista, adesso cosa fa?

La globalizzazione tecnologica modifica il nostro corpo e le relazioni con persone e cose troppo velocemente. C’è necessità di ricostruire punti di riferimento condivisi attraverso un terreno e un linguaggio in comune, riparando con l’arte della diplomazia i danni delle contrapposizioni forzose e anacronistiche, politiche e culturali. Questo è lo scopo della mia iniziativa in rete: “Il Macroscopio, collaborare e orientarsi nell’èra delle catastrofi”.

Suona ancora la chitarra?

L’ho ricomprata l’altro giorno, con l’amplificatore. Purtroppo nella musica la mia testa è andata molto più avanti della mia tecnica esecutiva.

Un rimpianto?

I tremila dischi che mi rubarono quando abitavo a Roma nel ’79. Qualcuno lo ritrovai anni dopo a Forcella, col mio timbro impresso e lo ricomprai. Ma forse fu anche una fortuna, perché oggi non saprei dove metterli.

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