La letteratura country-chic, tra seanpennismo e trovarobato waldeniano, è peggio di quel che credevamo di meritare. Salvo rare eccezioni, che al momento non vengono in mente, è poco più che vanvera zodiacale
“La campagna? Quel posto in cui le galline se ne vanno in giro crude?” Pare lo dicesse Charles Baudelaire. Lo scrittore italiano, invece, sente sempre più spesso il richiamo della foresta. Come resistere alla wilderness? Per alcune settimane all’anno – non più di tre – grazie a un’automobile e al navigatore satellitare lo scrittore raggiunge una baita riscaldata benissimo. E con in mano una fumigante tazza di tisana e avvoltolato in un plaid, soggiorna e attende. Cosa? Un’estasi, un bagliore veritativo che certamente sopraggiungerà, perché la cosiddetta Natura – lui lo sa – esiste da quando esiste per essere simbolica al cospetto di un bevitore di Emozioni alla vaniglia che grafomaneggia sotto una coperta di acrilico.
Dimentico della natura matrigna leopardiana, derubricato Lucrezio a superfluo gingillo, archiviati Cechov e la letteratura che “non deve risolvere problemi ma solo formularli”, ecco che lo scrittore con tisana si mette a scrivere. Prima, però, ebbro di tracciabilità del processo e conscio di cosa sia la reputescion, si instagramma. La fidanzata che lo mantiene sgobbando a valle lo raggiunge nel weekend proprio per fotografarlo, in modo che lo scrittore possa mostrarsi ai suoi lettori, anch’essi desiderosi di transumanazione extra-urbana. Eccolo: ora bighellone tra le conifere come un Taugenichts eichendorffiano – “il ruscelletto, le allodole, la foresta, i campi…” – ora munito di bastone mentre si incammina, in flanella quadrettata, verso un laggiù vagamente blerato; qui s’abbevera a uno zampillo, là accarezza un vecchio cancello. (“Non avrò preso il tetano, vero?” tartaglierà terrorizzato nelle orecchie della fidanzata alle quattro di notte).
Non il romanzo, ma la didascalia: è la didascalia Instagram il momento apicale dell’impegno letterario dello scrittore con tisana, il punto in cui si concentrano le sue forze lirico-cognitive. Scrivendola, dovrà ricordarsi di: 1) mostrarsi fanciullino, 2) alludere a un certo malinconico disinteresse verso la materialità, 3) far lampeggiare quel po’ di critica all’occidente, 4) indorare il tutto con un diesis sapienziale sul finale, hashtag #connessoamestesso. Cecchinati tutti i cliché, riceverà una miriade di cuoricini: donzellette e donzelletti che non vengono dalla campagna ma che smaniano ugualmente per tornarci.
Lo scrittore con tisana è tutto qui: rassicurante e sedativo, pappagallo probabilistico che squaderna il trionfante catalogo della natura percepita. Natura che gli parla. Natura che è tutto. Natura che è qualsiasi cosa. Natura come farmaco, natura come via di fuga, natura come stanza tutta per sé. Natura come incontro, natura come spirito, natura come insegnamento. E poi i monti che sussurrano e le fronde che accarezzano, l’oscurità che serve a vedere e la solitudine come scoperta. I messaggi ancestrali e l’assoluto che ti parla. La maestosità delle vette e il senso di piccolezza. La vertigine della grandezza e la vita lenta. Il ritmo delle stagioni e il vento come respiro e guarigione, e via così, cialtronando tra farmacologia emotiva, gufi che bubolano e Snapseed lirico – trovate tutto in ogni bandella, in ogni sinossi, in ogni intervista o reel rilanciato dall’editore degli scrittori con tisana. (Aria venduta a prezzi altissimi, diceva il poeta).
“Lui ha lasciato la città, dove tutto è frenetico e in vendita”. Si leggono cose di questo genere, nei retrocopertina. Che dire? La letteratura country-chic, tra seanpennismo e trovarobato waldeniano, è peggio di quel che credevamo di meritare pur non essendoci mai fatti grandi illusioni. E salvo rare eccezioni che al momento non vengono in mente – ma ci sono, non facciamo d’ogni erba un Herman Hesse (ci sono, vero?) – è poco più che vanvera zodiacale, un grande dépliant da erboristeria sotto mentite spoglie, romanzeria seduta, anzi, stravaccata sempre dalla parte giusta. Tutta questa natura in esclusiva per chi scrive sarebbe poi perfino comica, non fosse l’ennesimo raglio di ego col più schematico sottotesto (sempre luddista, sennò che scrittore italiano sei) che tutto ciò che non è baita di campagna è landscape ballardiano. Letteratura ormai ridotta a tematica del sé – gallina davvero crudissima.