Milano col freno. Dove inizia e dove porta la crisi di politica e idee

Mentre la città splende in superficie, il bradisismo giudiziario e la mancanza di investimenti minacciano un lungo inverno economico. Se andrà avanti così sarà un deserto per i prossimi 20 anni, la profezia di un grande imprenditore del settore delle costruzioni

Una città con il piede schiacciato sul freno. Chi amministra lo fa con una mano legata dietro la schiena. Poteri che non sono più tali, guerra per bande (basti guardare chi si agita e fa il tifo dietro alle inchieste sull’edilizia), partiti politici al minimo non della loro credibilità, ma della loro operatività e della capacità di interloquire con la città, leadership cittadine e regionali nel mezzo del cammin del loro secondo e ultimo mandato e che si ritrovano nella selva oscura delle sabbie mobili giudiziarie. Dovunque ti volti, risuona la profezia di un grande imprenditore del settore delle costruzioni: se andrà avanti così sarà un deserto per i prossimi 20 anni. tempi lunghi, ma inesorabili: l’effetto visibile di questo bradisismo lo si comprenderà alla fine del mandato non di Beppe Sala, ma del prossimo sindaco: specchio perfetto con i fasti della Milano di oggi (fino ad oggi) che furono generati negli anni oscuri della crisi finanziaria dal mandato Moratti e dell’ultimo Albertini. A guardare la fotografia, senza considerare il pregresso e il futuro, c’è una Milano che va alla grande. Hotel pienissimi, Pil alle stelle, prezzi delle case inarrivabili, ricavi da affitti (la Milano della rendita, per dirla con Dario Di Vico) mostruosi. Il contrappasso è il divario con la povertà che aumenta, come in tutte le società a crescita vorticosa e incontrollata. Ma è solo la fotografia, perché vista in prospettiva la questione si fa più complessa. Le decine di cantieri fermi da mesi stanno mettendo in sofferenza il settore dell’edilizia, che sta per vivere l’inizio di un inverno potenzialmente lungo dopo il boom del 110 per cento.


I cantieri sono fermi perché la battaglia della procura va avanti, all’interno di un sistema – quello giudiziario milanese – che non ha più neppure la parvenza del monolite che fu. Nessuno ricorda più la pax garantita da Edoardo Bruti Liberati per Expo 2015. Oggi neppure si ipotizza qualcosa del genere. E questo silenzio vale più di mille parole.


La questione dei trasporti rimane aperta: l’inaugurazione della M4 è solo un momento di festa all’interno di un sistema economico ormai crepato, per il quale bisogna correre ai ripari. Allegria di naufragi annunciati in bilancio: mancano e mancheranno ogni anno 100 milioni. Certo, una soluzione è attivare Area B per tutti e per tutti i giorni: anche i city user paghino, per dirla male. La qual cosa sarà la tomba di qualunque politica da città metropolitana: Milano si richiude e si difende dal contado. E il contado reagirà furioso per la nuovo decima da pagare. Non bene, ma che altro è possibile fare senza operazioni di fusione con Fnm? Ancora: mancano 400 autisti su 1.600 perché la vita in città è cara. Delle due l’una: o ci si carica un costo a livello di welfare aziendale mostruoso (per ora siamo a piccole idee) oppure si va in pellegrinaggio da Elon Musk e gli si chiede di inventare gli autobus senza conducente. A proposito di Musk, potrebbe essere (#sischerza) la soluzione anche al fatto che non si trova mai un taxi disponibile in tempi umani. Ci sarebbe da dire che l’emissione di nuove licenze è stata bloccata per mesi da ricorsi al Tar e al Consiglio di stato da parte dei tassisti, e non si vedranno prima della primavera del 2025. Ma queste sono quisquilie. Non è una quisquilia la paranormale intervista rilasciata dall’amministratore delegato di Trenord Marco Piuri, che ha detto chiaro e tondo che l’ultimo anno è stato un disastro e che, in effetti, lui aveva già deciso un anno fa di non voler più stare alla guida della società. E’ chiaro che in quella azienda ci vuole discontinuità assoluta, ma pare sia già in itinere. Ma la partita, politicamente, è nelle mani del partito di Matteo Salvini: che invece si occupa dello Stretto. Si potrebbe concludere con la ciliegina sulla torta: a Milano ben presto mancheranno anche dirigenti pubblici, se passerà l’idea di abbassare il tetto dei compensi del 30 per cento a 160 mila euro l’anno. Perché mai andare a lavorare a Milano, città carissima, con la Procura che ha “un faro acceso” eccetera, quando ci sono bellissime città sul mare magari non dinamiche ma sicuramente meno rischiose ed economicamente più compatibili? Poi ci sono il Meazza a rischio di non-soluzione, e Palazzo Citterio, a rischio non apertura. Se ne parla sopra.

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