L’ex ministro nel gabinetto gettava 26 miliardi (senza “Report”). Questi della destra fanno una mostra su Tolkien e provocano ilarità diffusa, sganasciamenti di risate e pernacchie. Quello invece spendeva dieci milioni di euro per creare una “Netflix della cultura italiana” che è fallita ancora prima di nascere
La destra è maldestra su come si governa, anzi, su come si galleggia, si sopravvive, si nomina, si fa clientela e ci si protegge dai giornali che mai assaltarono la sinistra malgrado tutto. Dopo appena due anni un ministro della Cultura si è dimesso, e un altro barcolla. Non riescono nemmeno a nominare un capo di gabinetto e finiscono spernacchiati su tutti i giornali. E allora quanto ci manca lui – solo e sempre lui – che nel gabinetto ci gettava 26 miliardi di euro con il bonus facciate e nessuno fiatava. Quanto ci manca, Dario Franceschini! Per otto anni ministro della Cultura, sempre sia benedetto e rimpianto, egli è infatti da sempre un professionista della politica. Lui sì. E come gran parte dei dirigenti del Pd, egli potrebbe oggi dare lezioni alla destra maldestra su come si sta al mondo.
Questi della destra fanno una mostra su Tolkien e provocano ilarità diffusa, sganasciamenti di risate e pernacchie. Quello invece spendeva dieci milioni di euro per creare una “Netflix della cultura italiana” che è fallita ancora prima di nascere, e nessuno accennava nemmeno a un sorrisetto. Anzi, questa “startup della cultura” ai tempi non entrò nemmeno nei radar di “Report”, la trasmissione di Sigfrido Ranucci, che invece ora non si è fatta sfuggire la terribile consulenza da 10 mila euro (mica 10 milioni) al compagno di Francesco Spano che per questo l’altro giorno si è dovuto dimettere da capo di gabinetto del ministero della Cultura.
Se Franceschini balbettava, dicevano: “E’ rinato Cicerone“. Se scriveva su una cartolina: “Distinti saluti“, dicevano: “E’ meglio di Leopardi”. Egli era ed è infatti IL MINISTRO con l’articolo determinativo.
Thomas Alva Edison, l’inventore della lampadina, sosteneva che il genio è per l’1 per cento inspiration (che vuol dire ispirazione) e per il restante 99 perspiration. Che vuol dire sudore. Fatica, applicazione, metodo. E allora, camerati della destra, ministri meloniani e melonisti, voi che per il governo apparite attrezzati più o meno come lo zulù medio per la psichiatria, prendete appunti, studiate da Franceschini, fatevi dare le dispense universitarie, cercate i bignami di franceschinismo applicato. Pensateci un attimo. Mentre Genny Sangiuliano non riusciva a nominare la donna che amava, non riusciva a farla diventare consigliera a titolo gratuito e anzi faceva scoppiare un caso micidiale talmente enorme da finire sulle pagine del Times di Londra, e si procurava un bernoccolo in fronte e un quasi divorzio, Dario muto muto e cacchio riusciva, nonostante il suo peso politico ingombrante, a non ostacolare la carriera di sua moglie passata dal consiglio comunale di Roma alla Camera dei deputati. E guai a parlare di familismo, che è invece una caratteristica di questa destra orrenda. Ah, siamo proprio dei fan di Franceschini. Che cos’è il genio? E’ fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione. A lui, da ministro, poteva succedergli di cadere, sì, ma da una impalcatura, da un balcone, dalle scale, mai dal governo e col governo. Mai dal ministero. E quando poi c’era da pagare il conto (politico) egli – genio – era era già scomparso. Il solo prestigiatore che, insieme ai conigli, faceva scomparire anche se stesso . La destra si dichiari sconfitta. E prenda esempio.