Un brindisi per Mancini che comunque i suoi soldoni per allenare quegli scarponi se li è portati a casa
Alla fine, come l’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio, così anche la realtà vince sulle seghe mentali. Bella la Serie A, fortissime le italiane in Europa, spettacolare la competizione dalle vostre parti, poi però le prime tre nella classifica della Champions League sono tre inglesi. “Siete primi in Premier e Champions, qual è il vostro segreto?”, ha chiesto un giornalista a Szoboszlai del Liverpool: “Nessun segreto, ci facciamo un culo così”, ha risposto il giocatore compagno di squadra di quel Chiesa che in Italia sembrava corresse più di tutti e in Inghilterra non vede il campo nemmeno durante il riscaldamento prepartita. “Non so quando raggiungerà il livello dei compagni ma capisco la sua grande delusione – ha detto il manager dei Reds, Arne Slot – è arrivato in un campionato dove l’intensità è molto più alta rispetto alla Serie A. Abbiamo appena incontrato due squadre italiane, quindi ora posso affermarlo con sicurezza”.
Mentre appoggiato al piano della cucina con la bionda in mano aspetto i fact checkers della Serie A pronti a dimostrarmi che nel campionato italiano invece c’è la stessa intensità, ce-lo-dice-la-heat-map, leggo che Roberto Mancini è stato cacciato dalla panchina dell’Arabia Saudita per i risultati deludenti raccolti finora. Strano, uno che ha vinto un Europeo di culo ed era riuscito a farsi eliminare dalle qualificazioni mondiali con l’Italia ero sicuro che avrebbe fatto benissimo alla guida di una Nazionale di scappati di casa che si trovano più a loro agio coi sandali che con gli scarpini da calcio. Non amo fare i conti in tasca alle persone, ma i suoi 25 milioni di euro per mettere in campo quegli scarponi dovrebbe esserseli portati a casa. Un brindisi per lui, che laggiù tra l’altro nemmeno può farlo.
Sì, lo so che non possiamo farlo nemmeno noi inglesi sugli spalti dei nostri stadi, quella rompipalle della Thatcher lo ha vietato 39 anni fa. Ma da allora il mondo è cambiato, e tra le tante tragedie a cui abbiamo assistito c’è anche la crescita del calcio femminile con tutto l’apparato di banalità retoriche che chi ne parla è costretto a ripetere, dalla bellezza del fair play tra signore al fatto che non ci sono praticamente differenze tra una partita femminile e maschile a livello di colpi, gioco e spettacolo, fino al sostenere che se avessero la stessa copertura mediatica riempirebbero gli stadi di tutto il mondo come i loro colleghi con la pinta tra le gambe. Ecco perché apprezzo la mossa della Women’s Professional Leagues Limited, la Federazione di calcio femminile inglese, da poco staccatasi dalla Football Association: durante alcune partite della Serie B femminile da quest’anno sarà consentito bere birra sugli spalti. Hanno finalmente capito che ubriacarsi è l’unico modo per sopportare il calcio femminile.