Gpa, diritti gay e corpo delle donne. Alessandra Mussolini, la Ducia dei diritti

Cantante, attrice, politica. Fascistona ma libertaria. Casinara sempre. Ora progressista? “Le opinioni cambiano col tempo, ma io non rinnego niente della mia famiglia”. Intervista

Incontro Alessandra Mussolini in un bar romano dalle parti della Nomentana, ed è sempre lei, con addosso le due facce della Nazione, un po’ Sofia un po’ Benito, la faccia più internazionale e quella più impresentabile del made in Italy, il tutto innaffiato da uno spirito di commedia all’italiana che non può non renderla simpatica (con quegli occhi che secondo Dino Risi, uguali come sono a quelli del Duce, non avrebbero potuto mai essere tollerati al cinema). E’ stata cantante, attrice, politica. Fascistona ma libertaria. Casinara sempre. Da poco non è più eurodeputata con Forza Italia. Nel bar è accompagnata da un signore vestito tutto di scuro, gentile, un po’ mogio, non capisco se è il suo addetto stampa o la sua guardia del corpo.



Da tempo è su posizioni molto progressiste per quanto riguarda i diritti, è a favore della Gpa, detta anche volgarmente utero in affitto. “Per me non dovrebbe neanche essere reato. Adesso vogliono pure i medici snitch”. Ma come snitch. “Sì, che facciano la spia, in inglese”, dice l’accompagnatore misterioso. “In tutti i testi dei trapper ci sono gli snitch, sono gli infami, le spie, i ragazzi lo sanno, ecco, non possiamo fare i medici snitch”. Chi sono questi che vogliono i medici snitch? “Gli ultracattolici, Roccella in testa. Ma io Roccella la conosco molto bene. Quando facemmo la legge sulla procreazione assistita, io ero in Commissione Affari Sociali, c’era già allora questo furore ideologico ultra cattolico. All’epoca però l’aborto gli andava bene: noi volevamo introdurre la diagnosi pre impianto, ma loro erano contrari, dicevano: tu metti nel corpo della donna tutti gli embrioni che vuoi, senza diagnosi prenatale, al limite poi abortisci. Per fortuna poi è intervenuta la Corte Costituzionale”.

“Anche la legge sulla surrogata; è sbagliata nel merito e nel metodo. Non può essere vietato qualcosa che in altro paese è legale. Ma poi mettiamo una ragazza che ha una malattia, e non può avere figli. Non può congelare gli ovociti, perché attenzione, questa legge sulla surrogata, la 40, è pure ambigua, e c’è scritto che è vietata ‘qualunque realizzazione di commercio di embrioni’, quindi tu magari congeli gli ovociti, poi vai all’estero da single e torni incinta e che fanno? Ti sequestrano il neonato, ti mettono in galera? Allora diciamo che la scienza si deve fermare, blocchiamo tutte le possibilità di ricerca. Anche le staminali. Ma aboliamo anche i treni, allora, come del resto sosteneva un tempo la Chiesa, perché il treno è strumento del diavolo. Io da medico – sono laureata in medicina – sono contraria anche all’obiezione di coscienza. L’obiezione di coscienza non lo so se è un diritto. Soprattutto in una struttura pubblica non devi rompere le scatole con queste storie del battito del feto, come fanno i Pro Vita. Il nostro stato è laico, tu puoi essere anche ultra cattolica, ma la legge dello Stato riguarda tutti”.

Mussolini, si fermi, prenda fiato. Ma lei è un faro progressista! Dopo lo scontro a Porta a Porta del 2006 con Vladimir Luxuria, quello celebre per cui “meglio fascista che frocio”, oggi si può finalmente dire meglio frocio che fascista? Ha un sussulto. “Le opinioni cambiano col tempo, ma io non rinnego niente della mia famiglia”. Dal 2021 ha avuto una specie di conversione sulla via di Damasco, da quando si scrisse sulla mano la sigla della Legge Zan.

“Io più che omosessualità preferisco chiamarla omoaffettività. Basta con quest’ossessione per il sesso, sono tutti ossessionati in questo paese. Una cosa morbosa”. Come col caso Giuli-Spano. “Lì bisogna vedere se ci sono stati illeciti, allora va bene, ma se la questione è che Spano non può fare il capo di gabinetto perché è gay è veramente una cosa che non sta né in cielo né in terra, vergognosa”. Ma c’è più omofobia a destra? “Non credo sia una questione politica”. Però la parola “pederasta”, che è risuonata nelle squisite chat di Fratelli d’Italia, non si sentiva veramente da un pezzo. “Mah, non attacchiamoci alle parole. Negli anni Ottanta se uno vedeva quei film di Lino Banfi si diceva di tutto ma alla fine si era più liberi”.

Mussolini ha attraversato il costume di questo paese (e volte se l’è anche tolto): proprio negli anni Ottanta fece un famoso calendario sexy per Playboy. “Ma era la fase capezzolare, quella l’hanno avuta tutti, le foto le scattò il grande Angelo Frontoni, e poi presi 15 milioni di lire che furono molto utili”. Un calendario capezzolare lo fece anche Sabrina Ferilli, con cui lei a un certo punto litigò, definendola “oca rossa”. “Perché disse che durante una tournée in un albergo aveva trovato una foto di mio padre e aveva chiesto di toglierla. Ma oggi siamo amiche”. Suo padre Romano, figlio del Duce, jazzista, scapestrato. “E traditore seriale. Papà ha tradito mamma in tutti i modi possibili e immaginabili. Pensi che lei a un certo punto si fece i capelli biondi perché lui aveva un’amante bionda e mamma era mora. Così quando trovava dei capelli biondi su una giacca si illudeva che fossero i suoi. Un modo come un altro per non soffrire, per illudersi”.

Mamma è Maria Scicolone, sorella di Sofia Loren, nome d’arte. Ma già conquistarsi un nome vero di famiglia non era facile nell’Italia benpensante del tempo. “Il cognome Scicolone mia madre se lo dovette comprare perché suo padre naturale Riccardo Scicolone e la mamma Romilda Villani non erano sposati e per l’epoca era impensabile avere solo il cognome della madre, era una vergogna. Così lo Scicolone riconobbe solo la figlia Sofia, quando divenne famosa, e mia madre no. Allora mia nonna andò da lui e gli disse: quanto vuoi per riconoscere anche l’altra? Cinquemila lire. E coi risparmi le comprò il cognome”. “Mamma ha fatto i lavori più disparati, dal cantare a vendere polli a disegnare una linea di borse, con la S di Scicolone. Una volta abbiamo calcolato che ha fatto 35 lavori diversi, l’ho scritto nel libro ‘Il gioco del buio’, Minerva editore. Con le borse si emancipò e chiese il divorzio, uno dei primi divorzi d’Italia. Per dire le famiglie, che non sono sempre tradizionali e lineari”.

Ma zia Sofia Loren non aiutava finanziariamente? “Sì, aiutava, ma uno non può mica sempre dipendere dagli altri”. A Claudio Sabelli Fioretti ha raccontato che il marito Carlo Ponti era un po’ duro con voi nipotine. “Sì, con me e mia sorella Elisabetta era tremendo. Una volta che siamo andati a trovarli a Los Angeles siamo rimaste un mese in questo ranch di 160 ettari che avevano a HiddenValley. Non si poteva toccare niente. Lui era fissato con la jacuzzi, proprio ossessionato, voleva che l’acqua fosse sempre limpida, immacolata, l’acqua della beata vergine Maria! Io che ne combinavo una dietro l’altra invece salto dentro e non so che succede, si riempie di fango. Per punizione ci mettono a dormire in una dépendance, ma anche lì guai. Io ero terrorizzata, c’erano i coyote, i serpenti a sonagli, le tarantole, capirai, in mezzo al deserto. E il tetto era mezzo bucato. Ma succede un altro disastro, avevamo questo bagno tutto moquettato, come usava in quegli anni, con la moquette beige alta, e a un certo punto l’acqua del water invece che scendere va su, su, e tracima, con quel che c’è dentro, tutto sulla moquette beige a quel punto marrone scuro. Io e mia sorella Betta viene di nuovo cazziate da Ponti. Dieci giorni chiusi dentro senza nemmeno uscire, per punizione. Un mese d’inferno”. Ma zia Sofia non si ribellava? “Ma che si doveva ribellare, era un bel matrimonio, e poi quello tanto se la prendeva con noi nipoti, eravamo noi il capro espiatorio”.


Insomma, i maschi o sono inutili o fanno danni, nella sua famiglia. Altre avventure del matriarcato mussoliniano: “Ero in Giappone con mamma, a fare una pubblicità per la Honda”. Ma perché? “Perché mia mamma mi ha sempre spinto, era tipo Anna Magnani in Bellissima, ‘la bambina sa cantare?’, chiedevano, e lei, ‘sì, come no, canta benissimo’, anche se ero stonata come una campana. Insomma finimmo in Giappone a cantare, rimanemmo tre mesi e ci dettero un sacco di soldi, ottanta milioni, ci comprammo una casa. Poi arrivò Malgioglio”. Malgioglio? “Mi aiutò a tradurre le canzoni dal giapponese in italiano”. Ha fatto altri dischi? “No”.

Ha fatto però 13 film, tutti senza cambiarsi cognome, con Risi che biasimava non solo gli occhi: l’aveva consigliata di mutarlo in Alessandra Zero. “Mai”. Ma ha fatto anche una comparsata in “Una giornata particolare”, film emblematico di Scola sul rapporto tra regime e omosessualià. “Ero una ragazzina”. L’uomo misterioso dice: “sì, fu girato proprio qui dietro, nei palazzi Federici”. Poi tace. Che direbbe suo nonno dell’utero in affitto? “No, di mio nonno non parlo”. Utero alla patria? Niente, non risponde. Ha doppiato anche i Simpson. Ma che personaggio faceva? “Aspetti”, dice l’uomo misterioso, e controlla su Google sul telefonino.


Senta Mussolini, dopo lo spettacolo e la politica, quale sarà il suo terzo atto? Che farà da grande? “Farò le borzette. Mia mamma le borze, io le borzette! No, scherzi a parte non lo so, non faccio più programmi”. Dovrebbe rimanere in quella mecca dei diritti che pare diventata Forza Italia, Marina traccia il solco e i Mussolini lo difendono. “E’ tutto merito dei figli di Berlusconi. Quando Forza Italia stava andando verso FDI, cosa che anche a livello di marketing non funziona, lei ha dato coraggio a quelli all’interno del partito che magari non sono ultracattolici. Se tu sei aperto non è che puoi stare solo a sinistra”. Anche la Lega aveva una minima vaga anima liberale. “Insomma. A noi bloccarono la proposta di permettere ai figli di aggiungere il cognome della madre”. I suoi tre figli invece ce l’hanno tutti il doppio cognome. “Certo”. Che fanno? “Il maschio fa il calciatore professionista, ha giocato nel Pescara, ora nella Juve Stabia, in serie B. Un’altra figlia, Clarissa, sta a Roma, Caterina lavora a Londra, in un’organizzazione internazionale, è una capocciona, tra un po’ prende la cittadinanza inglese, co ‘sta Brexit è un guaio”. E poi c’è Rachele Mussolini, sua sorellastra, votatissima consigliera comunale a Roma in quota Fratelli d’Italia, ha abbandonato il partito di Meloni ed è entrata pure lei in Forza Italia, “un passaggio che io ho favorito, anche lei si sentiva molto costretta in Fratelli d’Italia, anche lei ha preso posizione”. L’altra Mussolini ribelle aveva pure difeso la pugile algerina Imane Khelif da una “indegna caccia alle streghe”, disse, vi ricordate, quest’estate, quella vicenda. E suo cugino di secondo grado Caio Giulio Cesare Mussolini, no vax, antigay, invece più fedele alla linea? “Non lo conosco”. Vabbè.

Però, Mussolini, non le pare un po’ bizzarro che da una parte il governo continua a lamentare che non si fanno più figli e dall’altra continua a limitare le possibilità di quei pochi che vorrebbero farli? “Ma non è solo oggi. Gli integralisti cattolici a un certo punto volevano convincerci che bisognasse fare il parto in casa. Ma fattelo te il parto in casa”. Lei che farebbe per il problema della natalità? “Vogliono più figli? Ma procreare è un lavoro. Mi devi far pagare meno tasse, mi devi dare un bonus per tutti i mesi che ho il ciclo, e pure per la menopausa. Fare figli è un lavoro per lo Stato. Tu Stato l’utero me lo devi pagà, e pure profumatamente”. Utero di Stato.




Recentemente l’autocrate turco Erdoğgan si è complimentato con Giorgia Meloni che ha difeso i valori della famiglia tradizionale. Sono endorsement che fanno piacere. “Mah, sa, è pure simpatico Erdogan, l’ho conosciuto”. E Musk? Lo arresteranno quando arriva con tutti i marmocchi surrogati dalla sua amica Giorgia? “Ma come fai, ad arrestarlo? Che fai, lo inviti e poi lo arresti? Però certo so’ cose che non hanno senso”. Rimane il grande mistero se Giorgia Meloni sia d’accordo, più avanti o più indietro dei suoi su queste tematiche. “Io penso che sia più aperta. E’ chiaro che un governo di destra ha delle caratteristiche. Però sui diritti devi andare avanti lo stesso, non puoi tornare indietro. Ma oggi c’è poco coraggio, a destra come a sinistra”. Però Meloni è mamma single. “E’ fantastico, lei fa una scelta. Però le scelte devono essere consentite a tutti”. Con Meloni non vi siete mai prese, anzi un po’ odiate. “Non mi ricordo”, dice lei, sorridendo sorniona. Come non si ricorda? A “Belve” la premier ha detto che lei, cito, è una donna cattiva. Cattiva con le altre donne. “Diciamo che io quello che penso dico, anche se sei una donna. Non è che sei donna hai per forza ragione”. Lei nel 2016 si candidò alle comunali di Roma sottraendo voti a Meloni e facendola perdere. Meloni disse che aveva fatto “una badogliata”. Lei rispose che aveva fatto “una kamicazzata” perché Meloni e Salvini si volevano pappare tutto il centrodestra facendo la pelle a Berlusconi. “Non ricordo”. Ancora!

Dagospia soprannomina Meloni la Ducetta, lei da Michele Serra era detta “la Ducia”, è gelosa? “Ma no, ma che ne so”. La mamma di Meloni dopo i romanzi Harmony ora fa le candele profumate che vende ai mercatini in Ciociaria, ha visto? “Fa benissimo. I lavori manuali aiutano a rilassarsi, io adesso ricamo per esempio”. E il suo matriarcato com’è? “Siamo io, mamma e mia sorella Elisabetta che fa il notaio, è un po’ la mia Arianna”. Mussolini, dica una cosa di destra. “Sulla questione Albania sono perfettamente d’accordo con la premier. Sono i magistrati che hanno fatto un’invasione di campo”. Li spediamo a Tirana? “Magari! In un centro carino, eh. Col wi-fi, così sono connessi”.

Senta, e il suo ex marito, che ebbe quelle disavventure nel caso delle baby prostitute dei Parioli? “Non ex, è marito ancora”. “E’ lui”, fa Mussolini, e indica l’uomo misterioso accanto a me. Ma come. “Sì, non l’aveva capito?”. No. E’ il capitano Mauro Floriani della Guardia di Finanza! “Ex capitano, da un bel pezzo”, fa lui. “Ora commercialista”. Ah quindi lei a differenza di Giambruno non è stato espulso dal matriarcato sovranista. “No”. Non avete mai divorziato. “Mai. 35 anni di matrimonio”. La Ducia dagli occhi belli però lo riprende subito. “Non dire niente tu. Lui non parla. Lei faccia conto che sia un tavolo”. Però mossa geniale portarlo alle interviste. “Mi chiedono sempre di lui, così io me lo porto appresso”. “La presenza evita la domanda”, fa lui, il tavolo-marito. E la matriarca se ne va, portandosi appresso il marito-tavolo, e le due facce della Nazione.

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).

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