Chi sono i soldati di Kim in Russia

Dal raid alla Casa blu alla guerra contro Kyiv: il dittatore nordcoreano manda lo Storm Corps a combattere la guerra di Putin. Il video degli ucraini ai soldati: “Non devi morire per forza in un territorio straniero”

Roma. Sono le dieci di sera del 21 gennaio del 1968. Il capo della polizia Choi Gyu-sik è di guardia al checkpoint dello stradone che porta alla Casa blu, quella che fino a qualche anno fa era la residenza del presidente sudcoreano. Vede arrivare verso di sé un gruppo di militari in divisa: le uniformi sono quelle sudcoreane, ma lui li ferma, e insospettito dalle risposte vaghe capisce che qualcosa non torna. Tira fuori la pistola. I militari gli sparano subito, e iniziano un conflitto a fuoco che finirà soltanto due giorni dopo, con 26 morti e due arresti. Quelli con le uniformi da militari sudcoreani erano in realtà nordcoreani dell’Unità 124, composta da una trentina di soldati, l’élite dell’élite. Nella propaganda nordcoreana sono ancora oggi delle leggende perché autori del tentativo più spaventoso e rocambolesco di uccisione del presidente della Repubblica di Corea, che allora era Park Chung-hee, e dell’episodio ancora oggi conosciuto come “il raid della Casa blu”. Oggi l’Unità 124, che dopo quel 1968 si è allargata e rinnovata, è diventata l’11° Corpo d’armata dell’Esercito nordcoreano, chiamato anche Storm Corps, quello che oggi si trova in Russia.



Il gruppo rappresenta le forze speciali dell’Esercito nordcoreano. E’ composto da almeno dieci brigate con specializzazioni molto varie, che vanno dalle operazioni d’infiltrazione, come quella del 1968, dall’intelligence all’antiterrorismo, fino a una delle brigate più famose nelle vicende nordcoreane, quella dei Bolt, i cecchini. E soprattutto, lo Storm Corps risponde direttamente agli ordini di Kim Jong Un. Secondo quanto riportato dai media sudcoreani e menzionato nei rapporti che nei giorni scorsi sono finiti sulle scrivanie del governo sudcoreano, sono proprio loro, quelli dello Storm Corps, che il dittatore nordcoreano avrebbe mandato a combattere in Russia la guerra di Putin contro l’Ucraina. Fino a qualche mese fa l’intero battaglione era impiegato per tutt’altro: Kim aveva mandato lo Storm Corps a pattugliare i confini con la Cina all’inizio della pandemia da Covid, quando il dittatore nordcoreano aveva deciso di chiudere ancora di più le proprie frontiere. Secondo i giornali sudcoreani che si avvalgono di fonti nordcoreane – e che per questo non sono sempre del tutto affidabili – i soldati delle forze speciali avevano l’ordine chiamato “prima spara e poi fai rapporto”, un sistema in cui è lo stesso militare a prendere la decisione, che vuol dire: sparare sempre. Il confine fra Corea del nord e Cina è quello, in condizioni normali, più permeabile per Pyongyang perché da lì passa chi vuole scappare dal regime ma anche i beni illegali che vengono fatti entrare per essere venduti sul mercato nero. Effettivamente durante la pandemia e il rafforzato controllo dei confini il numero di persone che sono riuscite a scappare dalla Corea del nord è drasticamente diminuito.

Il fatto che Kim Jong Un abbia deciso di mandare le sue forze d’élite in Russia (alcune truppe, secondo l’intelligence ucraina, sarebbero già state avvistate nella regione di Kursk) è un dato che, soprattutto fra Washington e Seul, si sta cercando ancora di interpretare a pieno. E’ quasi certo che nessuno di questi soldati andrà sulla linea del fronte, ma anche in supporto logistico alle truppe di Putin potranno imparare moltissimo a livello operativo. E’ dal 1953, cioè dalla fine delle ostilità della Guerra di Corea, che i nordcoreani non combattono una guerra sul campo, e secondo l’intelligence di Seul Kim Jong Un è a caccia anche di informazioni sull’operabilità dei suoi armamenti, già a disposizione delle truppe russe. L’11° Corpo d’armata ha a disposizione probabilmente 40 mila uomini, ma le condizioni d’addestramento restano un buco nero dell’intelligence internazionale. E’ noto per esempio che durante il pattugliamento del confine, nel periodo peggiore della pandemia, alcuni soldati dello Storm Corps abbiano rubato nelle abitazioni private e perfino nei magazzini della logistica dell’Esercito a causa della scarsezza delle razioni distribuite. Non a caso l’altro ieri l’intelligence ucraina ha diffuso un video in lingua coreana con un messaggio per i soldati che li invita a disertare per trovare, in Ucraina, condizioni di vita migliori: “Non devi per forza morire in un territorio straniero”.

Ieri a Seul c’era il presidente polacco Andrzej Duda, con cui il governo sudcoreano ha rafforzato la cooperazione soprattutto nel settore della Difesa alla luce della guerra in Ucraina. Il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol, dopo un bilaterale con Duda, in conferenza stampa ha detto che “il dispiegamento di truppe nordcoreane in Russia, che viola direttamente la Carta delle Nazioni Unite e le risoluzioni del Consiglio di sicurezza, è una provocazione che minaccia la sicurezza globale, ben al di là della penisola coreana e dell’Europa”. Il problema è sempre lo stesso: dopo questo passaggio, come evolverà la cooperazione fra Mosca e Pyongyang, e cosa darà in cambio il Cremlino al dittatore Kim.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: “Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l’Asia”, “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.

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