“Avetrana”. La giustizia pugliese è da Hollywood

La “sospensione immediata” della serie tv di Disney+ non avviene nel vuoto. È il frutto di una tradizione folcloristica regionale che parte dal pretore di Maglie che autorizza la “terapia Di Bella” e passa per le incheiste a Trani sui vaccini e a Lecce sulla Xylella

Alla fine non si sa se i produttori devono disperarsi o dovranno ringraziare la magistratura per la campagna promozionale di “Avetrana – Qui non è Hollywood”. Il giudice Antonio Attanasio, della sezione civile del Tribunale di Taranto, ha infatti accolto il ricorso d’urgenza presentato dal sindaco di Avetrana, Antonio Iazzi, per lo stop della messa in onda della serie tv sull’omicidio di Sarah Scazzi.

Il sindaco chiedeva la “sospensione immediata” della fiction, il cui inizio era previsto dal 25 ottobre su Disney+, chiedendo la “rettifica della denominazione” perché denigratoria. Ma il sindaco ha visto la serie per poter sostenere che è diffamatoria? No. E proprio per questa ragione, nel ricorso, afferma che è “indispensabile visionarla in anteprima” per appurare se il film descriva la sua comunità di Avetrana come “ignorante, retrograda, omertosa, eventualmente dedita alla commissione di crimini efferati”.

In un posto normale, se un primo cittadino chiede a un tribunale di bloccare un film rivendicando un diritto alla censura verrebbe accompagnato in una casa di cura. Non in Italia. Qui non solo viene preso sul serio, ma trova pure un giudice che blocca preventivamente un prodotto culturale, facendo prevalere le turbe di un sindaco sul diritto costituzionale alla libertà di espressione (art. 21).

Sembra una vicenda sugli strabordamenti della magistratura italiana, ma in realtà il caso “Avetrana” si inserisce in uno specifico sottoinsieme di folclore giudiziario: è la tradizione pugliese, che parte dal caso Di Bella e arriva a Disney+, passando per le inchieste della procura di Trani sui vaccini e della procura di Lecce sulla Xylella.

Il capostipite del rito pugliese può essere ritenuto Carlo Madaro, il pretore di Maglie, la città di Aldo Moro (che abbia pietà di noi). (segue a pagina quattro) Si tratta del giudice che il 16 dicembre 1997 emanò il primo di una lunga serie di provvedimenti d’urgenza con il quale ordinava all’Asl locale di fornire gratuitamente a un paziente oncologico i farmaci per la cosiddetta “cura Di Bella”. Che però tecnicamente non era una cura. Quello del dottor Luigi Di Bella era un metodo per il trattamento dei tumori che non ha mai dimostrato la sua efficacia e che era stato bocciato da tutte le autorità scientifiche e sanitarie.

Ma a sostenere il metodo Di Bella c’erano alcune associazioni di pazienti, partiti politici come Alleanza Nazionale, Forza Italia e i Verdi, oltre al Codacons e Moby Dick di Michele Santoro. Tanto bastava al pretore di Maglie per prescrivere all’Asl, sostituendosi al Consiglio superiore di sanità e alla Commissione del farmaco (la vecchia Aifa), di dare gratis ai pazienti i farmaci del “metodo Di Bella”.

L’esempio di Madaro, che nel frattempo divenne famoso in tutta Italia, fece giurisprudenza. Quasi 15 anni dopo, nel 2013, quando ormai era indiscutibile che il “metodo Di Bella” non avesse alcuna validazione scientifica, il tribunale di Brindisi (siamo sempre in Puglia) con un provvedimento di un giudice del lavoro, quindi un esperto della materia, disse all’Asl che doveva fornire i farmaci del protocollo Di Bella perché erano efficaci.

Pochi chilometri più a nord, nel 2014 la procura di Trani aprì un’inchiesta sulla correlazione tra vaccini e autismo: una bufala pericolosa e più volte smentita dalla comunità scientifica. A condurre l’indagine era Michele Ruggiero, pm famoso per le inchieste sul complotto contro l’Italia delle agenzie di rating (tutte assolte), che aveva partecipato a un convegno su “vaccini e autismo” organizzato da un noto medico antivaccinista, Massimo Montinari, che poi verrà sospeso dall’Ordine dei medici. Montinari, tra l’altro, era il medico che aveva redatto la perizia del pretore di Maglie che decretava “l’efficacia” della cura Di Bella. Questo solo per ribadire la solidità della tradizione giudiziaria pugliese. Nel frattempo, dopo aver perso tutte le inchieste che hanno reso celebre la procura di Trani nel mondo, il pm Ruggiero è stato condannato per violenze sui testimoni ed è stato sospeso dalla magistratura (ma tra due anni potrà tornare a fare il giudice a Torino).

Nel 2015 la procura di Lecce bloccò il piano di contenimento della Xylella, sostenendo che il batterio che colpisce gli ulivi in realtà era innocuo e dietro l’allarmismo si nascondeva un complotto: il procuratore di Lecce, Cataldo Motta, che conduceva l’inchiesta insieme alla pm Elsa Valeria Mignone, era convinto che per curare gli ulivi bastava l’acqua. Dopo qualche anno, i ricercatori accusati sono stati tutti prosciolti, la Xylella ha seccato 20 milioni di ulivi, desertificato il paesaggio e fatto miliardi di danni.

Questa breve rassegna serve solo a ricordare che il caso del giudice di Taranto che blocca una serie tv perché al sindaco non piace il titolo, non avviene nel vuoto. È il frutto di un’interpretazione particolare del diritto in una regione che, tra l’altro, è governata da 10 anni da un magistrato, Michele Emiliano, che si vanta nei comizi di essere andato a raccomandare il giovane sindaco di Bari, Antonio Decaro, dalla sorella del boss Capriati dicendole: “Te lo affido”.

Queste storie sono il materiale perfetto per un nuovo legal drama di Disney+ o Netflix: “Puglia – Qui non è Hollywood”. Giudici permettendo.

Di più su questi argomenti:

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali

Leave a comment

Your email address will not be published.