Sui migranti non c’è una terza via fra il modello Meloni e quello Saviano-Cei

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore – Le vicende di Fratelli d’Italia regalano ogni giorno imprevedibili colpi di scena, quasi fosse una serie tv. Uccelli di covo.

Roberto Alatri



Al direttore – Ho letto il bell’articolo di Giuliano Ferrara sull’Albania e cerco di raccogliere, in camera caritatis, la sua sfida. Oltre che Kafka, ci vorrebbe la penna del grande scrittore albanese Ismail Kadare per descrivere la follia dell’intesa. “Ecco, ve li ho portati. Il terreno era aspro e il maltempo si è accanito contro di noi”, scrive nell’incipit del suo capolavoro, “Il Generale dell’armata morta”. In questo caso non le salme dei soldati italiani caduti in Albania ma i migranti raccolti in mare dalla nostra Marina militare (si spera in acque internazionali, come da protocollo). Una delle chiavi per capire perché l’Albania è di rileggere le dichiarazioni al Fatto quotidiano del premier albanese, Edi Rama, rilasciate il giorno dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del ddl di ratifica. A domanda rispondeva: Funzionerà? “Non lo so, provare per credere”. Servirà a Giorgia Meloni per vincere la campagna elettorale? “Non sarebbe un peccato: per governare devi vincere le elezioni”. Sarà praticabile? “Bisogna toccare per credere”. E via di questo passo. Insomma, un vero battutista. Alla fine chi ci prende più per i fondelli in assoluto è il premier albanese, più del duo russo della telefonata farsa. Chissà cosa ne aveva pensato la sua amica Giorgia perché dalle sue risposte Rama faceva capire senza tante perifrasi che l’idea di Meloni era di creare due villaggi Potëmkin in tempo per le europee 2024 (ipotesi poi avveratasi visto che i lavori si sono conclusi solo ora). All’epoca ci si domandava cosa si sarebbero inventati gli uffici legislativi dei nostri ministeri per fornire una base giuridica a quest’accrocco non per passare al vaglio del Parlamento – lì non c’erano problemi, per evidenti limiti – ma che reggesse minimamente allo scrutinio dei custodi dei trattati europei e internazionali. Per esempio se il diritto di asilo europeo poteva essere applicato su di un pezzo di territorio “prestato” alla giurisdizione di uno stato membro da parte di un paese non Ue o se, con la delocalizzazione verso un paese terzo, il principio di non respingimento veniva rispettato o meno. Altra previsione preoccupante era l’eccezione per minori e donne in gravidanza visto il rischio di dividere nuclei famigliari creando a valle il problema dei ricongiungimenti. Infine, in base al diritto europeo, centri di accoglienza non possono diventare centri di detenzione. Allora ci si chiedeva: cosa faranno le autorità albanesi quando si ritroveranno immigrati in fuga e a spasso nella natura, magari cercando di attraversare illegalmente qualche frontiera? Spareranno? Domanda da girare a quel burlone di Rama. Segnalavano alcuni arguti analisti, e qui sta la seconda chiave di lettura: dal punto di vista geopolitico ed economico la nostra presenza in Albania è sotto-dimensionata, scalzati come siamo da altri paesi, Turchia in primis ma non solo. E’ senz’altro vero, ma la gestione dei migranti è la carta migliore da giocare per rientrare in partita? Crederlo è davvero velleitario. Caelum, non animum mutant qui trans mare currunt diceva Orazio più di duemila anni fa. Il cielo, non l’anima, muta per chi attraversa il mare. Ma qui chi rischia di perdere l’anima è la nostra nazione, come ama chiamarla la nostra premier. Il “miraggio della deterrenza” come scrive Ferrara, in realtà è solo uno spauracchio che lascia del tutto indifferenti intere popolazioni pronte a mettersi in cammino in cerca di destini migliori.

Filippo di Robilant

Lettera bellissima, caro Di Robilant, lettera che però mi fa venire in mente un tema ulteriore, complementare. Abbiamo letto in questi giorni, critiche, sul tema dell’immigrazione, relative a ogni punto. Il modello albanese è sbagliato. La deterrenza è un errore. I rimpatri vanno fermati. I paesi sicuri vanno limitati. I confini devono essere lasciati aperti. Le critiche sono chiare. Quello che non è chiaro è se tra il modello Meloni (governare i confini, anche con scelte creative e pasticciate, ma non anti europee) e il modello Saviano-Cei (non governiamo i confini, limitiamoci ad accogliere chiunque arrivi) vi sia una terza via che coloro che vogliono creare un’alternativa al modello Meloni sono in grado di offrire. Al momento la risposta è di due lettere: no.

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