Reagire al coinvolgimento nordcoreano in Ucraina vuol dire escalation. E non farlo?

La Corea del nord era lo stato dal cui fanatismo demenziale ci si poteva soprattutto aspettare una mossa nucleare. La questione resta, e non è un caso che ad avvertire dell’intervento di Pyongyang in Ucraina sia stata per prima la Corea del sud

Non sopportava di venire scavalcata dagli eventi, la sindrome nordcoreana. Vediamo se ho capito bene. Nella guerra di aggressione russa all’Ucraina, ambedue i combattenti, gli aggressori e i difensori, hanno degli alleati più o meno ufficiali, più o meno stretti. Dal lato russo (uso sempre nomi come Russia e aggettivi come russo riferendoli al regime vigente e al suo capo, Vladimir Putin) c’è per esempio la Bielorussia, uno stato formalmente indipendente, dittatoriale nei confronti dei suoi cittadini, asservito economicamente e militarmente alla Russia, cobelligerante con qualche prudenza di facciata (la Cecenia di Kadyrov è invece una repubblica della Federazione russa, libera di fornire scherani). Poi c’è la vasta gamma degli alleati più o meno ufficiosi, a cominciare dall’Iran.

Dalla parte dell’Ucraina c’è soprattutto la Nato. La Nato, e a modo loro i suoi singoli stati, hanno via via fissato una lunga serie di limitazioni al loro sostegno. Due di queste condizioni, le più influenti, sono tuttora in atto: il divieto all’impiego di armamenti di lunga gittata oltre il confine ucraino-russo, e il rifiuto della partecipazione diretta di militari della Nato sul campo ucraino. Alcuni governanti di singoli stati hanno bensì dichiarato di essere favorevoli alla fornitura di missili utilizzabili oltre il confine. Alcuni altri, sia pure in forma ipotetica e, come educatamente si dice, provocatoria, hanno ventilato l’intervento di truppe nel territorio ucraino, come fece Macron. Sono finora rimaste espressioni retoriche. In qualche caso, si è sostenuta come perennemente invalicabile la proibizione all’intervento diretto di proprie forze armate: così, con speciale enfasi, da parte del governo italiano. Tutto ciò si riassume nella constatazione annosa del forte squilibrio fra la Russia, che combatte sul territorio ucraino e non conosce limiti ai luoghi da colpire con tutti i suoi congegni bellici, e l’Ucraina, le cui escursioni in territorio russo sono a volte avventurose ma rare, circoscritte, ed eseguite solo con le sue forze.

Questa la premessa, allo stato. Ora uno stato indipendente, la Corea del nord, riconosce e anzi vanta la partecipazione sul campo ucraino di proprie armi e truppe. La Corea del nord è, proverbialmente, il più grottescamente canaglia degli stati canaglia, si vanta come una potenza nucleare, e prima che la Russia dell’invasione rimettesse all’ordine del giorno la minaccia esplicita e ostentata del ricorso all’atomica, era lo stato dal cui fanatismo demenziale poteva soprattutto aspettarsi una mossa nucleare. Benché la gara si sia precipitosamente infittita, la questione resta, e non è un caso che ad avvertire dell’intervento di Pyongyang in Ucraina sia stata per prima la Corea del sud.

L’escalation è la parola magica del nostro tempo. Per restare alla retorica vigente, il compito supremo della comunità internazionale è di sventare l’escalation – anche il più mancato. L’esercito nordcoreano sul fronte ucraino è una fragorosa tappa dell’escalation. Rispondere, vuol dire compiere un altro passo nell’escalation. Non rispondere, che cosa vuol dire?

I governanti di qualunque paese democratico hanno le migliori ragioni per ricordare di non essersi messi in politica, di non aver cercato e ottenuto il sostegno degli elettori, per affrontare questioni di una tale portata. Di guerra e di pace, e di una simile dimensione della cosiddetta guerra e delle sue conseguenze. Basta guardarle, guardarli, per sentirne l’inadeguatezza, che appare in quanto tale anche il loro pregio, il loro riscatto: non sono loro a non essere all’altezza, sono le cose e i loro peggiori attori ad aver superato la misura. L’altezza d’uomo – di donna. La conclusione più umana è quella: non vorrei essere nei loro panni. Ancora più umana, se completata da un dettaglio: non vorrei essere nei panni di una famigliola di Zaporizhia.

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