L’incredibile ottimismo di Navalny e le lezioni di “Patriot” contro i nemici della libertà

Credere a un futuro migliore anche a un passo dalla morte. Il libro postumo del dissidente russo ucciso nelle carceri putiniane: “Se le tue convinzioni significano qualcosa devi essere pronto a difenderle e fare sacrifici se necessario”

Ha scritto il Washington Post, con ottimi argomenti, che il libro postumo di Alexei Navalny, “Patriot”, è un formidabile appello per continuare a resistere a Putin, per continuare a mostrare il volto oscuro dei nemici della libertà e per continuare a portare avanti quella che la vedova di Navalny, Yulia Navalnaya, che ha perso il marito a febbraio ucciso nelle carceri putiniane da principe dei dissidenti russi, ha definito giustamente una testimonianza dell’“incrollabile impegno del marito nella lotta contro la dittatura”.

“Patriot”, il libro che Navalny ha iniziato a scrivere in carcere, è un libro che suggerisce molte domande, naturalmente, e una su su tutte è come sia stato possibile che per molti anni le minacce putiniane non siano state prese sul serio, per dire, e forse dovremmo ricordarci, quando questa guerra finirà, che i nemici della libertà, quando minacciano di colpire i paesi liberi, meritano di essere presi sul serio, alla lettera, senza fischiettare e senza archiviare ogni promessa distruttiva sotto la categoria delle follie impossibili da realizzare. Accanto alle domande, però, Navalny offre anche alcune risposte che riguardano la sua vita, e le sue scelte. E una su tutte è la ragione per cui Navalny abbia deciso di tornare a casa dalla Germania nel 2021, poco tempo dopo che gli agenti di Putin provarono a ucciderlo con il novichok. Navalny dice che il suo scopo, lo scopo della sua vita, non era quello di essere ai margini della società ma era quello di unire i suoi concittadini russi per provare ad alimentare il desiderio di avere una società diversa, perché i russi sono “un popolo buono con uno stato cattivo”.

E fu per questo che Navalny scelse di andare a morire nelle prigioni di Putin: “Non voglio rinunciare al mio paese o tradirlo”, ha scritto Navalny, e “se le tue convinzioni significano qualcosa devi essere pronto a difenderle e fare sacrifici se necessario”. A suo modo, in fondo, ed è questo forse l’elemento più travolgente del libro, Navalny, nonostante tutto, è stato un ottimista sui generis, per così dire, e nelle sue memorie è lui stesso a mettere in rilievo una sfumatura di ottimismo che spesso sfugge anche ai più indefessi campioni dell’ottimismo. Era ottimista Navalny perché pensava di poter cambiare qualcosa, di poter guidare i patrioti russi, quelli veri, verso una riscossa, verso un percorso in cui la ribellione al dittatore sarebbe potuta diventare qualcosa di diverso dall’utopia. Ma era ottimista anche per scelta, quasi per dovere morale, perché il suo essere solare, ironico, arguto, giocoso è stato per molto tempo un’altra arma, inafferrabile, utilizzata per mettere a nudo la minaccia putiniana. L’allegria contro la paura.

“Mi pongo la domanda: sono davvero di buon umore o mi costringo a sentirmi così?”, scrive il 4 giugno del 2023. “La mia risposta è: lo sono davvero. Ammettiamolo, ovviamente vorrei non dovermi svegliare in questo inferno e poter, invece, fare colazione con la mia famiglia, ricevere baci sulla guancia dai miei figli, scartare i regali e dire: ‘Wow, questo è esattamente ciò che sognavo!’. Ma la vita funziona in modo tale che il progresso sociale e un futuro migliore possono essere raggiunti solo se un certo numero di persone è disposto a pagare il prezzo del proprio diritto ad avere le proprie convinzioni. Più ce ne sono, meno tutti devono pagare. Ogni lavoro ha i suoi aspetti spiacevoli, giusto? Quindi sto attraversando la parte spiacevole del mio lavoro preferito in questo momento. Il mio piano per l’anno precedente non era di diventare brutale e amareggiato e di perdere il mio atteggiamento rilassato; ciò avrebbe significato l’inizio della mia sconfitta. E tutto il mio successo in questo è stato possibile solo grazie al vostro supporto”.

Immaginare un futuro migliore anche quando la tua vita sta andando a rotoli, prendere sul serio le minacce degli autocrati anche quando queste sembrano pazze, imparare a fare qualcosa nel proprio piccolo per ricordare che per difendere la nostra libertà l’unico modo per essere dei veri patrioti è diffidare degli utili idioti del putinismo e fare di tutto per aiutare chiunque nel mondo abbia scelto di combattere le dittature anche mettendo a rischio la propria vita. Si scrive Navalny, si legge libertà.

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  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

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