Uccisi i tre capi di Hamas, Israele ha privato il procuratore Khan della sua foglia di fico

Non c’è mai stata però alcuna possibilità che Sinwar venisse processato all’Aia o che venisse scoraggiato dalla prospettiva di finire alla sbarra come Milosevic e Karadzic

A fine settembre, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha attaccato il procuratore della Corte penale dell’Aia per aver incontrato il presidente della Turchia e quello dell’Autorità nazionale palestinese. “Sotto la categoria ‘questo può accadere solo all’Onu’: il procuratore Karim Khan ha incontrato due campioni dei diritti umani: Erdogan, famoso per aver massacrato i curdi e incarcerato giornalisti, e Mahmoud Abbas, che nega la Shoah e paga i terroristi che uccidono gli ebrei”, ha detto Netanyahu.

A maggio, il procuratore Khan aveva chiesto cinque mandati d’arresto: Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant, Yahiya Sinwar, Ismail Haniyeh e Mohammed Deif. Il premier e il ministro della Difesa di Israele, il capo di Hamas a Gaza e in esilio e quello delle Brigate al Qassam a Gaza. A settembre, dopo che Haniyeh era stato ucciso a Teheran, Khan ha dovuto depennarne il nome dalla lista dei ricercati. Quanto a Deif, Khan aveva preferito aspettare ulteriori “verifiche” sulla sua morte. Poi Khan ha dovuto arrendersi all’evidenza. E anche Deif è stato depennato. Infine il terzo: Sinwar, eliminato da Israele a Rafah.

La morte del leader di Hamas ha lasciato nel dolore molti cosiddetti “moderati”, commenta il Wall Street Journal. Mahmoud Abbas ha offerto le condoglianze per il “martirio” di Sinwar, definendo la mente del massacro del 7 ottobre un “grande leader nazionale”. Anche il presidente turco Erdogan ha salutato Sinwar, mentre riceveva il ministro degli Esteri iraniano e i principali terroristi di Hamas per un incontro.

Ma il più colpito dalla morte di Sinwar è Khan, il procuratore della Corte penale dell’Aia. Per essere imparziale, Khan aveva chiesto i mandati di arresto per il trio di leader di Hamas insieme al primo ministro e al ministro della Difesa di Israele. Già di per sè l’equivalenza morale era agghiacciante, ma ora che tutti e tre i capi di Hamas sono stati uccisi, Israele ha tolto a Khan anche la sua foglia di fico.

Non c’è mai stata, infatti, alcuna possibilità che Sinwar venisse processato all’Aia o che venisse scoraggiato dalla prospettiva di finire alla sbarra come Milosevic e Karadzic. Khan invece sapeva che un’incriminazione da parte della Corte penale internazionale significava molto per una democrazia come Israele, ma zero per i terroristi. Quando Khan ha lanciato la sua minaccia, a maggio, l’obiettivo era di scoraggiare Israele dall’entrare nella roccaforte di Hamas a Rafah. Dopo che Israele è entrato, Khan ha fatto il suo annuncio per cercare di fermare i carri armati Merkava. E a Rafah, strano ma vero, Israele è entrato e c’era Sinwar, oltre agli ostaggi uccisi da Hamas.

In un articolo pubblicato all’inizio da al Jazeera, l’ex funzionario delle Nazioni Unite Moncef Khane ha scritto che “la credibilità della Corte penale è appesa a un filo”. Khane si lamenta che “ci sono voluti non meno di sette mesi a Khan per raccomandare alla corte l’emissione di mandati di arresto per Netanyahu e Gallant, che se ora si sottraessero alle loro responsabilità, suonerebbero la campana a morto della Corte”. Ma Netanyahu e Gallant sono ancora vivi. E nel fantastico mondo del diritto internazionale, Khan potrebbero anche decidere di continuare con loro la sua farsa. Forse questo era il suo piano fin dall’inizio.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.

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