In ricordo di Staino, che non frequentò mai rancore, invidia o vendetta

Lunedì era il primo anniversario della sua morte. Una comunità di persone di ogni età ha riempito a Firenze fino all’ultimo posto del suo teatro Puccini, e, le più dotate di spirito poetico e musicale e allegro, il palcoscenico

“La sinistra che sogniamo tutti: una comunità di persone buone, generose e solidali, unite da un forte senso di fraternità” – così una volta Sergio Staino. Lunedì era il primo anniversario della sua morte, e il secondo dal malore che l’ha fatto vivere, e noi con lui, un po’ di qua e un po’ di là, come un raccattapalle del suo e del nostro destino. Una comunità di persone di ogni età che si sentivano, almeno per una sera, unite da un forte senso di fraternità, hanno riempito a Firenze fino all’ultimo posto del suo teatro Puccini, e, le più dotate di spirito poetico e musicale e allegro, il palcoscenico. Ogni volta chi resta si risarcisce del lutto. Il desiderio che è della prima adolescenza, di assistere al proprio funerale per vedere come stanno le altre e gli altri – per vedere di nascosto l’effetto che fa – ce l’hanno alla rovescia i grandi, e specialmente i vecchi, che si rimproverano di avergli sì voluto bene, al loro amico, senza dirglielo abbastanza. Penso che Sergio, che generoso e solidale è stato proverbialmente, sia stato un uomo molto buono, che è la prima delle qualità che citava in quella nostalgia di sinistra. Si può essere buoni per averlo deciso, perché è giusto, perché non se ne può più della cattiveria, e si può essere buoni, pochi, rari, perché sì, con naturalezza. Sergio era capace di accalorarsi e passare rovinosamente dalla parte del torto: “Naturalmente la cena è andata a ramengo ed io a un certo punto mi sono alzato con una tale incazzatura da abbandonare la tavola per avviarmi in piena notte, senza vedere niente, in aperta campagna”. Di lì a poco tornava a scusarsene perdutamente. “In tutta la mia vita ho espresso sentimenti di ogni genere, anche negativi, ma non ho mai frequentato il rancore, l’invidia e la vendetta” – era vero.

Per questo, credo, le amiche e gli amici fraterni che gli hanno dedicato canzoni, poesie, battute, scherzi, sono sembrate animate da un’intenzione speciale. Vecchioni ha cantato Luci a San Siro cento milioni di volte, e lo stesso Sergio la cantò con lui una memorabile volta, ma lunedì sera chi ascoltava ha sentito di partecipare di un privilegio. Canzoni nuove si sono scritte e cantate, da David Riondino, da Alessio Lega (“Se la squadra del tuo cuore ha perso, consolati con Alessio Lega!”). Canzoni antiche da lui predilette, da Ernesto Bassignano, da Paola Turci – con una forza sorprendente, come in una prima volta, Guccini e Chavela Vargas – da Andrea Satta, compagno di risalite e di discese ardite (“E’ buio”, “Segui me, ci sono abituato”), da Peppe Voltarelli, impetuoso come un temporale, da tutti insieme, Cielito Lindo, canta y no llores, e i forti suonatori, Stefano Cocco Cantini, Angelo Pelini, Michele Staino, Leonardo Brizzi, attorno ai grandi, Gianni Coscia, Massimo Germini. Testi poetici, Daniela Morozzi e la ragazza Consuelo di Besame mucho, e la fatale poesia, “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale”, che Lella Costa (“Quanto sei brava, Lella!”) ha dedicato a Bruna: “e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino”. Campioni d’incassi come Michele Serra e Claudio Bisio hanno rivendicato di dovere a Sergio la propria iniziazione alla satira e alla conduzione, e così gli ispirati conduttori della sera, Maria Cassi e Paolo Hendel. La storia del fumetto, di Linus, del Tenco, nelle parole di Fulvia Serra e di Sergio Sacchi. Il toscano Eugenio Giani aveva appena intitolato a Sergio la Sala Azzurra della Regione, sotto la cupola di Brunelleschi, perché le altre hanno nomi troppo solenni per cambiarli, e Staino e l’azzurro si accomodano bene. E Altan, Ellekappa, Sandra Bonzi, e José Maria Micó, il traduttore di Ariosto e della Divina Commedia in spagnolo. Di Vecchioni ho detto? “Oh Sergio non ho tempo di scriverti. Ma d’altra parte non ti ho scritto mai”. Ho dimenticato qualcuno – mille. Sergio, a modo suo, non c’era, tutti gli altri in cambio sono stati, ciascuna e ciascuno, perfino migliori di sé. In una sera.

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