L’America di Giorgio Armani

Lo stilista ha scelto di presentare la sua collezione primavera estate non a settembre a Milano, ma a New York in una location che più cinematografica non si può: la Park Avenue Armery

Racconta Giorgio Armani che quando il regista Paul Schrader lo chiamò dicendogli che voleva i suoi abiti per vestite il protagonista di American Gigolò, rimase sorpreso per due motivi. Il primo è che non si aspettava che Hollywood fosse interessato ai suoi vestiti – che peraltro si trovavano in poche boutique americane. Il secondo è che il protagonista in quel momento doveva essere John Travolta, non esattamente il tipo di gigolò che Armani si aspettava. “Nella mia mente il ruolo era per qualcuno più bello e più sexy”, racconta lo stilista. Schrader decise poi di sostituire Travolta dando la parte a Richard Gere. Il resto è storia.

Il connubio tra il film, il suo protagonista e gli abiti che indossa è uno di quegli aventi passati alla storia sia del cinema che della moda e quello che ha dato il via al mito americano di Re Giorgio. L’altro è Diane Keaton che si presenta alla cerimonia degli Academy Awards a ritirare l’Oscar come migliore attrice per il film Io e Annie di Woody Allen indossando una giacca Armani, in un periodo storico in cui le attrici non indossavano capi degli stilisti, ma si presentavano alle cerimonie di premiazione con abiti loro. Oggi sembra fantascienza, ma è così: il red carpet per come lo conosciamo l’ha inventato Armani.

Il rapporto tra Giorgio e l’America è tanto intenso quanto fatto di muto rispetto e amore. Nel 1980 Al Rockefeller Center di New York viene presentata, con grande successo, la prima sfilata Giorgio Armani, mentre i capi arrivano da Bergdorf Goodman. Nel 1982 la copertina del Time, un onore toccato fino ad allora solo a Dior (Armani ricorda che capì l’importanza quando Valentino, dopo aver visto il giornale, gli disse: “Ah però”). Nel 1985 l’apertura della boutique Giorgio Armani a New York, tra 815 Madison Avenue e la 68esima strada, seguita quattro anni dopo dal primo negozio statunitense Emporio Armani al 110 della Fifth Avenue. Si potrebbe andare avanti, fino alla celebrazione che nel 2000 gli dedica il Guggenheim Museum, il Met Gala che lo dichiara padrino d’eccezione nel 2008 e con il sindaco Michael Bloomberg che nel 2013 dichiara il 24 ottobre “Giorgio Armani Day”. Non è quindi strano che quasi alla fine della sua carriera – di recente ha affermato di voler lasciare, magari tra due anni – Armani guardi al luogo che più di ogni altro, dopo l’Italia, gli ha dato così tanto, da cui è stato amato e coccolato, rispettato e venerato. Da qui la scelta di presentare la sua collezione primavera estate non a settembre a Milano, ma a New York lo scorso 17 ottobre in una location che più cinematografica non si può: la Park Avenue Armery, una ex armeria del secolo scorso trasformata da Armani in una stazione ferroviaria degli Anni 30. Il giorno prima c’era stata l’inaugurazione della nuova boutique su Madison Avenue all’altezza della 65esima strada: un progetto di real estate (oltre ai tre piani che contengono il negozio e il ristorante ci sono nove piani di abitazioni arredate secondo il gusto Armani) a cui ha dedicato dieci anni e che lascia un’impronta ancora più importante nella topomastica della città.

“Il passato è passato”, dice lo stilista quando gli si chiede di guardare indietro a quei primi anni americani. Non gli piace la nostalgia fino a se stessa, se non come fonte d’ispirazione. La collezione, ad esempio, è tutta ispirata al viaggio tanto che si apre con una modella seguita da un portantino con due valigie. Le donne Armani non si trascinano il trolley, ma proprio come negli Anni 40, hanno chi si fa carico dei bagagli per loro. Quella che segue è una collezione tutti sui toni della cipria, del grigio, un po’ di blu e tanto neutro, pantaloni larghi e leggerissimi, borse portate sulla spalla, tailleur pantalone di seta, trench di pelle, abiti morbidi di satin: tutte cose che vanno benissimo sia in città che nel deserto. Abiti che sembrano fatti per set cinematografici, perché la triade a cui torna è quella: il viaggio, i film, la vastità dell’America, oggi così diversa da quella che lo ha accolto negli Anni 80. “Kamala Harris è una donna interessante”, si limita a dire, evitando di cadere nella politica. E a chi gli chiede quale sia un suo sogno oggi che ha 90 anni risponde: “Poter ricominciare da capo”.

Di più su questi argomenti:

Leave a comment

Your email address will not be published.