Vera Lutter che trasformò un monolocale in macchina fotografica. “Spectacular” a Bologna

La Fondazione Mast ha invitato l’artista tedesca per una “retrospettiva tematica”. Nelle sue fotografie monumentali che sembrano visioni a raggi X di paesaggi urbani, impianti minerari, piramidi, templi greci, ciò che importa, più che ciò che appare nell’immagine, è il processo che porta alla sue realizzazione

Vera Lutter è un’artista tedesca, nata a Kaiserslautern nel 1960, che vive da trent’anni a New York. È diventata famosa per le sue immagini monumentali in bianco e nero, realizzate attraverso camere oscure di grandi dimensioni. L’intuizione le venne nel 1994, appena finiti gli studi alla School of Visual Arts della Grande Mela: trasformò il suo monolocale al ventisettesimo piano di un edificio di Manhattan in una macchina fotografica. Aveva oscurato completamente la stanza, lasciando aperto soltanto un piccolo foro nella finestra. Sulla parete opposta, accostati, aveva appeso due fogli di carta fotografica 178×104 cm. Dopo qualche ora di esposizione, sviluppata la carta, ottenne un’immagine in negativo della vista mozzafiato. Negativa perché, facendo a meno del passaggio dalla pellicola, le luci oscurano la carta e le ombre restano bianche. Aveva abitato dentro una macchina fotografica, attraversando il tempo lungo necessario alla luce per impressionare la superficie fotosensibile. Da allora, Lutter gira il mondo costruendo camere oscure di diverse dimensioni (da quella di una valigia a quella di un container) realizzando fotografie monumentali di paesaggi urbani, impianti minerari, piramidi, templi greci. A seconda delle esigenze, il tempo di esposizione può andare dalle ore ai mesi. Niente di più lontano dalla retorica del “momento decisivo” degli epigoni di Henri Cartier-Bresson.

La Fondazione Mast di Bologna, di Isabella Serragnoli, ha invitato l’artista tedesca per quella che il curatore Francesco Zanot ha definito una “retrospettiva tematica”, intitolata “Spectacular. Un’esplorazione della luce”. Dell’opera di Lutter, infatti, sono state scelte le immagini realizzate nel corso della sua carriera sui temi dell’industria, del lavoro e delle infrastrutture. Questioni su cui l’istituzione bolognese ha voluto porre la base della sua identità, con lo scopo di far dialogare il mondo delle aziende e della produzione con quello dell’arte e della fotografia in particolare. Ecco che vediamo la miniera di carbone di Hambach, la Battersea Power Station di Londra, lo Zeppelin, il radiotelescopio Effelsberg (con i suoi 100 metri di diametro), la fabbrica della Pepsi Cola a Long Island. Tutti soggetti monumentali ritratti in modo monumentale. Un lavoro che, tuttavia, ha poco di documentario. Sono immagini che, pur nella loro adesione fotografica al soggetto, assomigliano più a radiografie o visioni ai raggi x. Ciò che si trova davanti al foro stenopeico lascia la sua impronta sul sopporto fotosensibile, ma ciò che ci appare non è tanto la sua descrizione, ma più un sogno (o un incubo) che da esso promana. La scelta di azzerare, o quasi, la componente tecnologica del processo fotografico, eliminando cioè il classico apparecchio di produzione industriale, fa tornare a uno stadio primordiale del medium, dove gli automatismi vengono meno e si esalta, nella sua unicità, l’aspetto performativo del gesto.

Terminato il percorso della mostra, l’impressione è che, in fondo, la tematica legata agli spazi dell’industria sia solo la superficie del lavoro di Lutter. All’artista interessa, più che ciò che appare nell’immagine, il processo che porta alla realizzazione della fotografia e ciò che questa dinamica finisce per suggerirci. In questo senso le opere più significative sono quelle realizzate all’interno dello studio dell’artista, in cui compaiono appese opere da lei realizzate, offrendo uno straniante ping-pong positivo/negativo. Non è un caso, poi, che l’istallazione sia composta da quattro grandi diapositive in bianco e nero che rappresentano ciascuna un quadrante di orologio posto alla sommità dei quattro lati di un edificio affacciato sul Ponte di Brooklyn. Le immagini sono realizzate dall’interno della torre. Sono in positivo, ma l’ora che vediamo segnata è al contrario (come apparirebbe se realizzata in negativo). Siamo di fronte a fotografie solo apparentemente semplici, ma che sono dei rompicapo sul passare del tempo.

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