Con la Silicon Valley nuova Hollywood, i film sembrano scritti da un comitato

Amazon, Netflix, Apple oggi controllano il business della produzione audiovisiva, ma per realizzare un ottimo prodotto, la strada è lunga e stretta, servono intelligenza e sensibilità per seguire scrittura e sviluppo

Finché siamo noi, stagionati cinefili, a farli, certi ragionamenti lasciano il tempo che trovano. I film erano più vari, più originali, più coraggiosi e spiritosi – a prescindere dalla valanga di supereroi, in crescita esponenziale e sempre meno interessanti. Per dire la verità: non sono finiti gli eroi mascherati, a giudicare dal magazzino dei vecchi albi a fumetti. Non generano più incassi stratosferici. Prendiamo “Joker: Folie à deux”: è uscito nei cinema americani all’inizio di ottobre, con gran fanfara, e a fine mese sarà già sulle piattaforme streaming. Gli scarsi incassi non copriranno le spese.

Parlare di insuccesso, rispetto al primo “Joker” (stesso regista Todd Phillips e stesso attore Joaquin Phoenix) è perfino poco. Sarà colpa del titolo french style, che peraltro viene dalla psichiatria – non dalla moda – e significa “delirio condiviso”? Molto si potrebbe aggiungere, sull’eterno riciclo che annoierebbe anche le mucche al pascolo, che con la loro bella aria bovina mica cercano novità. Per esempio: quando mai i film di supereroi (anche a 5 stelle, modello lusso) cincischiano con le storie d’amore?

Poi arriva, pavoneggiandosi con la copertina a mosaico romano, l’ultimo numero del quadrimestrale ETC – sarebbe minuscolo, ma chi lo nota? comunque afferisce a Linkiesta – che annuncia trionfalmente il Retro-Future. Da compitarsi su uno sfondo finto-gladiatore. A furia di tirar fuori dai cassetti e dagli scaffali quel che divertiva i genitori e le generazioni precedenti finiremo col riciclo di Liala. (Già fatto, mi avvertono dalla regia: non li vedi i romanzi rosa che girano, rimpannucciati da romance?).

Finché siamo noi, a far certi ragionamenti sul poco che il cinema offre oggi, valiamo quanto qualche biglietto alla periferia dell’impero. Quando leggiamo le stesse cose sul Financial Times e poi sull’Independent, in un’intervista con Barry Diller intitolata “La Silicon Valley ha oggi più potere di Hollywood sull’industria dell’intrattenimento”, cominciamo a capire che certi dubbi non sono solo nostri. Leggiamo l’articolo intero, speriamo si parlerà dei videogiochi che prosperano. Macché, si parla di cinema, e neppure di striscio: “Tinseltown is out and Silicon Valley is in”. Tinseltown era un modo antico, risalente all’inizio del ’900, per riferirsi a Hollywood.

La Silicon Valley – facciamo i nomi: Amazon, Netflix, Apple – oggi controlla il business della produzione audiovisiva. Lo spiega il miliardario Mr. Diller, che iniziò smistando la posta alla William Morris. Per dieci anni, dal 1973, fu a capo della Paramount, ai tempi di “Grease” e dei “Predatori dell’Arca perduta”. Mise su la Fox che poi vendette alla Disney, dando il via all’impero dei “Simpson” e al primo shopping channel (anche questi nel gruppo Fox). Ricco di svariati miliardi, ne ha speso qualcuno per donare alla città di New York il Floating Park: quelle sculture a fungo, qualcuna fiorita qualcuna alberata. Il parco pubblico sospeso sulle acque dell’Hudson, disegnato da Thomas Heatherwick.

Amazon, Apple, Netflix controllano oggi il business del cinema e della tv. Un guaio grosso, insiste Barry Diller. Per fare un bel film, la strada è lunga e stretta, servono intelligenza e sensibilità per seguire scrittura e sviluppo. Affidare il lavoro a un comitato fa solo danni – ricordate la battuta? Un cammello è un cavallo disegnato da un comitato. Un film deve avere un suo sguardo, non un pasticcio di dieci burocrati che non osano nulla. Quanto a Barry Diller, classe 1942 (ha già fatto clonare più volte il cane amatissimo) – il titolo dell’intervista sul Financial Times recita: “Voglio vedere Donald Trump nel cestino della storia”.

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