Direttore grillino del Tg registra manager Rai a sua insaputa e denuncia l’azienda per demansionamento

Il direttore di Rai Parlamento, Giuseppe Carboni, ha registrato di nascosto le sue conversazioni private con il capo del personale della Rai e ha depositato tutto in una denuncia per “demansionamento”. La storia è paradigmatica dell’azienda più disfunzionale della terra e di quel paese, l’Italia, in cui tutti registrano tutti

Nell’azienda che negli ultimi due anni ha soprattutto parlato del giornalista scorreggione con il quale nessuno voleva condividere la stanza in redazione, cioè la Rai, adesso l’argomento più gettonato (e serio) nei corridoi riguarda il direttore di Rai Parlamento, Giuseppe Carboni – per sapienza del destino quasi omonimo di quel Calboni collega di Fantozzi – che ha registrato di nascosto le sue conversazioni private con il capo del personale della Rai, Felice Ventura, e ha depositato tutto in una denuncia per “demansionamento”. Di quel file audio parlano tutti tra Saxa Rubra e Viale Mazzini. Ci sono commenti, giudizi, ammiccamenti su una miriade di giornalisti, dirigenti e personalità della Rai. Ma la storia è paradigmatica dell’azienda più disfunzionale della terra, la Rai, e di quel paese, l’Italia, in cui tutti registrano tutti.

Per prima cosa bisogna sapere che sono oggi alla Rai circa 1.200 i giornalisti, di cui circa 22 direttori, circa 22 condirettori, circa 40 vicedirettori, 208 capiredattori, 327 capiservizio, e 430 vice capiservizio. Si stenta a credere a queste cifre. Ma in azienda ci sono più giornalisti che notizie. E questo, tanto per cominciare, perché una volta diventato direttore, alla Rai, sei direttore per tutta la vita. E se non ti riconfermano direttore di qualcosa che ti piace (ti devono proporre tre direzioni e tu scegli cosa prendere come al luna park), al cambio di governo, quando a Palazzo Chigi cambiano reggicalze e mezzecalze della Rai, fai causa.

Che è proprio quello che ha fatto questo tizio, Carboni (non Calboni), un oscuro giornalista musicale che negli anni bislacchi dei grillini al governo del paese era addirittura diventato direttore del Tg1. Ruolo che fu di Enzo Biagi. Biagi e Carboni, insomma: separati alla nascita. Ebbene questo giornalista carneade che sarebbe piaciuto a Cesare Lombroso o a Nino Frassica, una volta terminata l’esperienza del potere grillino era stato lasciato senza incarico dall’amministratore delegato Carlo Fuortes.

Finito per due anni in un sottoscala, dal quale ogni tanto risaliva per stiracchiarsi le braccia insieme a tanti altri “faticatori” della tv pubblica (i nomi ci sfuggono, sono i mezzibusti anonimi spediti dalle segreterie politiche al deposito salme per recitare il rosario di Conte e leggere i telegrammi di Meloni) , è stato a un certo punto inopinatamente nominato direttore di Rai Parlamento da Roberto Sergio e Giampaolo Rossi, i nuovi proconsoli meloniani di Viale Mazzini. La cosa deve averlo sconvolto al punto da spingerlo, dopo due anni, a fare causa all’azienda per “demansionamento”. Non solo. Se ne andava nella stanza del capo del personale della Rai, un manager ignaro che gli si dimostrava pure amico, oppure gli telefonava, e registrava ogni singola parola. Quello, il manager, che si chiama Ventura, gli diceva che aveva ragione e si abbandonava pure a una marea di retroscena e commenti non sempre del tutto edificanti (pare) riguardo altri direttori, ex direttori, sergenti, caporali uomini di punta, di rincalzo, di spinta, di frenata, di compromesso, di tacco o di gomito della Rai.

Supponiamo che Calboni (pardon: Carboni) in realtà volesse restare tranquillo nel sottoscala. Di sicuro non sarà direttore del Tg3, malgrado sia considerato un fior fiore di grillino (visti i meriti e le caratteristiche umane). Persino Conte non lo vuole più. Peccato. Dirigere, in Rai, è una bella cosa. Vuol dire avere un ufficio con la mezza moquette sul pavimento e il mazzo di fiori finti sopra il televisore collegato in bassa frequenza.

Di più su questi argomenti:

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori “Fummo giovani soltanto allora”, la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.

Leave a comment

Your email address will not be published.