Meloni teme la trappola Pse-Ursula su Fitto vicepresidente della commissione Ue

La premier alla Camera per le comunicazioni in vista del Consiglio di Bruxelles. Venerdì volerà in Libano. Scontro con le opposizioni sulle armi a Israele

Solito schema: partenza soft di mattina, in Senato, poi impennata di umori in serata, alla Camera. Le comunicazioni di Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo, tripudio della democrazia parlamentare, non deludono mai. Cosa ha detto la premier fra il primo intervento e le doppie repliche? Due cose su tutte. Che con Raffaele Fitto all’Italia è andata meglio rispetto a cinque anni fa perché al contrario di Paolo Gentiloni, sostiene Meloni, questa volta “esprimeremo un vicepresidente esecutivo della commissione”. Ecco perché tutti, a partire dal Pd, non dovranno mettersi di traverso nel nome dello spirito nazionale “come facemmo noi nel 2019 con Gentiloni”. Per onore di cronistoria, le cose andarono un po’ diversamente: quando spuntò il nome di Gentiloni, la leader di FdI chiamò la piazza poi in commissione, al momento delle audizioni, Fitto si espresse a favore e anche il coordinatore di Ecr votò sì all’allora commissario agli Affari economici, salvo bocciare nella plenaria tutto il pacchetto del primo governo Ursula, compreso Gentiloni ovviamente.

Il Pd, con tante voci, fa capire che alla fine per senso di unità nazionale voterà Fitto sia in audizione e poi in Aula quando ci sarà tutto il pacchetto (visto che è espressione di una maggioranza di cui fa parte il Pse). Ma su questo punto Meloni, nel batti e ribatti di una giornata piena di parole, inserisce un altro elemento, rigirando la situazione contro Elly Schlein: “Nelle ultime settimane il gruppo del Pse ha cercato di far spostare l’audizione di Fitto come ultimo tra i vicepresidenti, dicendo apertamente che il gruppo dei socialisti europei non avrebbe accettato che all’Italia venisse riconosciuta una vicepresidenza esecutiva”. Quindi la premier chiede che il Pd, prima delegazione a Strasburgo come peso nel Pse, schermi il futuro commissario e vicepresidente. Anche se la segretaria del Pd su questo punto insiste e difende anche il ruolo di Gentiloni: “Non avremo più il portafoglio economico, ma quello sulla coesione. Per inciso: noi, che non siamo come voi, valuteremo attentamente le audizioni di tutti i commissari, compreso Fitto. Ma voi non avete niente da rivendicare se non la vostra incoerenza”. Meloni a proposito di Fitto ha spiegato che le sue deleghe insieme sviluppano 1.000 miliardi di euro. L’audizione in questione ci sarà il 12 novembre lo schema potrebbe essere parere favorevole del Pse in commissione Regi alle deleghe con in allegato la richiesta di togliergli la vicepresidenza esecutiva. La trattativa fra Socialisti e Ursula von der Leyen in queste ore gira così, Meloni lo ha capito e teme che tutto il suo spendersi durante l’estate per dare i galloni europei al suo ministro vada a farsi benedire.


Il secondo corno di questa giornata riguarda il medio oriente, ovviamente. La presidente del Consiglio ha confermato che venerdì, appena terminato il Consiglio europeo a Bruxelles, volerà in Libano. E che è contraria al ritiro della missione Unifil sulla base di una richiesta unilaterale di Israele perché sarebbe “un grave errore” e minerebbe la credibilità dell’Onu. Per quanto riguarda Israele, Meloni ha criticato con forza l’attacco alle basi italiane e poi ha aperto il dibattito sulla questione armi a Tel Aviv. Su questo punto ha detto: “Voglio ricordare che la posizione italiana, cioè il blocco completo di tutte le nuove licenze di esportazione è molto più stringente e restrittiva di quella applicata da altri partner di riferimento”. Ovvero di quella applicata da Francia, Germania, Regno Unito. Questi paesi continuano a operare anche per le nuove licenze una valutazione caso per caso. Meloni ha citato la storia delle “munizioni marittime dimostrative” con “licenza firmata prima del 7 ottobre, sospesa e poi revocata”.

Non è la fattispecie di componentistica per aerei che vengono assemblati in Israele per essere esportati negli Stati Uniti “perché non c’è la possibilità che possano essere utilizzati”. Su questo punto, alla Camera, Giuseppe Conte, leader del M5s, nel corso di un intervento molto acceso le ha risposto che “la legge è chiara, stabilisce e impone l’obbligo di vietare l’esportazione di qualsiasi armamento verso Paesi in conflitto o che violino il diritto internazionale umanitario. Non si nasconda dietro gli uffici”. Stesso discorso anche da Schlein: “Il governo italiano deve chiedere lo stop all’invio di armi a Israele, unirsi alle pressioni per un embargo deve riconoscere lo stato di Palestina e lavorare per un cessate il fuoco immediato”. Durante l’intervento di Conte, Meloni ha perso un po’ la pazienza: sbuffi, risatine e dito indice mulinato nell’aria per dire no. Quando parlava Schlein si è limitata a sfogarsi con il vicino di scranno Antonio Tajani. Dopo quasi dodici ore di Aula, la premier è andata in Consiglio dei ministri per la manovra. A proposito della quale, ha detto, ci saranno contributi dalle banche per 3 o 4 miliardi. “Più di quanto abbia mai fatto la sinistra”. (s.can)

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