Su Unifil i politici ascoltino i generali

Nessuna retorica, dal nostro stato maggiore, solo la presa di coscienza di dovere svolgere il proprio dovere senza che la politica faccia altrettanto. Sarebbe il caso di ascoltarlo di più

Bisogna elogiare lo stato maggiore. I generali Portolano, Camporini, Battisti si fanno sentire e sono dichiarazioni ragionevoli, sincere, avvedute, politicamente disciplinate, che fanno onore ai soldati dell’Unifil, l’opposto delle insinuanti domandine che vengono loro rivolte e delle opinioni tendenziose che rivendicano un inesistente diritto alla pace addirittura nel sud del Libano, la piazzaforte di Hezbollah, organizzazione terroristica la più forte al mondo che Israele considera a buon titolo una minaccia e contro la quale combatte dopo anni di bombardamenti del suo territorio (dal sud del Libano), domandine e opinioni che non onorano la professione di giornalisti ed esperti. Quelli che ci riducono alla funzione di un Var della guerra che ha a disposizione la moviola per attribuire penalty e segnalare falli.

I generali non si imbizzarriscono, ovviamente, sono responsabili nel tono e nel contenuto di quel che dicono, sanno che non si può con leggerezza umiliare un lungo lavoro di distaccamenti decisi con il consenso delle parti per realizzare anche scopi umanitari importanti. Ma non mentono. Riconoscono che la risoluzione che ha stabilito prima e rafforzato poi l’Unifil, compreso l’articolo 12 della 1701, non è stata applicata. Si doveva impedire il riarmo e insediare l’esercito nazionale libanese, e sono spuntati fuori i tunnel del “partito di Dio” a decine, centinaia di metri dalle basi dell’Onu. Sanno che Hezbollah si è impadronito del tutto in quelle colline fatali, da dove ha tirato migliaia di missili contro il nemico che vuole annientare, contro le città, i villaggi, il popolo di uno stato sovrano e aggredito. Non hanno voglia di sparlare dell’Onu, non sarebbe nel loro stile, ma rilevano che di più i soldati da quelle postazioni, con quella volontà politica mancante alle spalle, non potevano fare. Da come parlano della frustrazione dei militari in missione, catturati nella trappola della realtà dopo vani tentativi di esorcizzarla, si capisce che, al di là della aspettativa nel bunker, in mancanza di regole di ingaggio serie, non sono contenti di stare a guardare impotenti lo sviluppo di avvenimenti di per sé cattivi, intrattabili, e di aspettare immobili in una situazione in tragico movimento intorno a loro. Battisti ha detto in radio che uno spostamento dell’Unifil secondo le necessità del momento, rilevate dall’esercito israeliano, sarebbe tecnicamente possibile, e ha rinviato di nuovo alla volontà politica.

Nessuna retorica. Non dicono, come certi ministri in vena di frottole patriottarde, “giù le mani dai soldati italiani”. La considerano una cosa ovvia, la preoccupazione per la sicurezza delle postazioni, e preferiscono andare al sodo, cercano di capire quale possa essere la decisione migliore, visto che non si può cambiare ciò che avviene con la forza del desiderio di pace. Quando politici e giornalisti politicanti parlano di guerra e di questioni militari, fanno generalmente pasticci. Quando ne parlano i militari italiani, la questione è ridotta subito all’essenziale, e ne viene, ne consegue, un assetto razionale di decisioni da prendere. Invece di telefonare con allarme a Netanyahu, che fa quel che può data la situazione non voluta da lui e dal suo governo, i nostri premier e ministri dovrebbero stare a sentire di più lo stato maggiore.

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  • Giuliano Ferrara
    Fondatore
  • “Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.

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