Il grande disordine mondiale. Il ritorno della guerra ad alta intensità

Le guerre in Ucraina e a Gaza sono la matrice del Ventunesimo secolo. Siamo passati dalla globalizzazione a un sistema multipolare, eterogeneo e bellicoso, scrive Nicolas Baverez

Due anni e mezzo dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e un anno dopo i massacri perpetrati da Hamas il 7 ottobre, il mondo non è più come prima – scrive Nicolas Baverez sul Figaro del 6 ottobre. Le guerre in Ucraina e a Gaza sono la matrice del Ventunesimo secolo, così come i conflitti della Rivoluzione e dell’Impero erano la matrice del Diciannovesimo e la Grande guerra era la matrice del Ventesimo. Restiamo immersi nell’epoca della storia universale. Ma si è passati dalla globalizzazione, segnata dall’abolizione delle frontiere economiche, dallo scambio di dati e dall’apertura delle società, a un sistema multipolare – senza la rassicurazione di una superpotenza – eterogeneo – con una contrapposizione insormontabile tra istituzioni, costumi e sistemi di valori – e bellicoso – con un numero di conflitti armati senza precedenti dal 1945. La nuova èra strategica è dominata dal grande scontro tra democrazie e imperi autoritari, strutturato attorno all’alleanza tra Cina e Russia, cui si aggiungono l’Iran dell’ayatollah Ali Khamenei, la Turchia di Recep Erdogan, la Corea del Nord di Kim Jong-un e il Venezuela di Nicolás Maduro. A ciò si aggiunge l’opposizione tra sud e occidente, dovuta al risentimento legato al passato coloniale.

L’aumento delle tensioni internazionali si riflette nel ritorno della guerra ad alta intensità e nel rischio di escalation in Ucraina, con l’estensione delle operazioni al territorio russo in medio oriente, con lo scontro tra Israele e Iran, nel Pacifico attorno a Taiwan, al Mar Cinese Meridionale e al ricatto nucleare della Corea del Nord, e in Asia centrale, con la spietata pulizia etnica del Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaigian. La maggior parte di questi conflitti locali hanno effetti globali e sono aggravati dalla minaccia dell’uso di armi di distruzione di massa.

Le guerre civili si stanno diffondendo in tutto il mondo, dal Myanmar al Congo e al Sudan, passando per l’Iraq e la Libia, accompagnate da un’epidemia di colpi di stato in Africa. Approfittando delle guerre in Ucraina e a Gaza, nonché della proliferazione di aree fuori dal controllo statale, il jihad sta tornando a essere una minaccia strategica, avanzando lungo un arco del terrore che si estende dal golfo di Guinea alle Filippine, passando per la creazione di un vasto “Sahelistan” dopo il ritiro dell’esercito francese. Allo stesso tempo, le relazioni economiche si stanno militarizzando, trasformando in armi le materie prime critiche, cibo, energia, dati e valute. Tutto questo avviene in un contesto di decadenza del multilateralismo – simboleggiato dalla perdita di legittimità e dall’impotenza cronica delle Nazioni Unite – in un momento in cui si moltiplicano i problemi globali legati alle migrazioni, alle pandemie, alla tecnologia (IA) e al cambiamento climatico.

La forza trionfa sul diritto e la violenza si affranca dalle istituzioni, dalle convenzioni e dalle regole che erano state create per contenerla. I conflitti, poiché si basano su questioni di identità e rappresentano una minaccia esistenziale per gli stati e i popoli, non possono più essere risolti diplomaticamente. La violenza aumenta di intensità e cambia di natura. Non è più solo monopolio degli stati, ma anche di milizie, gruppi terroristici e organizzazioni criminali che dispongono di forze strategiche e armi. Si sta espandendo in nuove aree, dallo spazio ai fondali marini al cybermondo. Prende di mira principalmente popolazioni e attività civili. Si sta banalizzando, radicalizzando e si mette in scena, fino a diventare il suo stesso fine, affermandosi come principio dei regimi autocratici, vettore di propaganda e strumento di reclutamento dei jihadisti attraverso i social network.

Così come il 1918, anche il 1989 è una pace mancata. L’ordine del 1945 è ormai obsoleto. Gli Stati Uniti non hanno più la volontà o i mezzi per garantirlo. L’occidente, che l’aveva ispirato, sembra essere in declino, con una combinazione di crollo demografico, stagnazione economica, paralisi istituzionale, crisi democratica e perdita di fiducia nei suoi valori. I suoi princìpi sono ora messi in discussione dalla maggioranza dell’umanità: la Cina, potenza in ascesa, la Russia e gli stati revisionisti, e il sud emergente. Il periodo post Guerra fredda, che va dal 1989 al 2022, si è rivelato un nuovo periodo interbellico, in cui le democrazie hanno sperato di vedere l’avvento di una pace perpetua. La sfida è grande per le democrazie, che devono affrontare il contagio interno della violenza che mina le libertà e la minaccia esistenziale di autocrati che le considerano nemiche e rivendicano un ordine post occidentale.

Tuttavia, la guerra e il caos non sono necessariamente lo stadio finale della storia universale. La fine del ciclo della globalizzazione non ha eliminato l’interdipendenza tra le economie e le società, anche se queste sono maggiormente controllate dagli stati. Con l’eccezione della Russia, la tentazione di un’economia di guerra si scontra con la resilienza del commercio e dei mercati. La sconfitta delle democrazie non è affatto inevitabile, come sottolineano le difficoltà degli imperi autoritari, che si tratti della Cina intrappolata in una deflazione alla giapponese, dell’impasse strategica in cui si è impantanata la Russia o della rivolta di massa degli iraniani contro la Repubblica islamica. Infine, la dinamica del caos e l’estremizzazione verso la guerra totale non sono ineluttabili. Ma solo se le democrazie si sveglieranno dal loro sonnambulismo e faranno del contenimento della violenza la loro priorità. La pace attraverso il diritto e il commercio è una grande illusione. La pace attraverso l’impero si riduce a un inferno totalitario che annienta la dignità umana e la libertà. Ciò che rimane è la pace attraverso un equilibrio di potere. Questa via è certamente difficile in un sistema multipolare, eterogeneo e volatile. Tuttavia, non è impensabile la graduale ricostruzione di un ordine mondiale tra i giganti del Ventunesimo secolo, purché abbiano un interesse comune a trovare una risposta ai rischi planetari e a evitare l’escalation di una guerra totale che potrebbe annientare l’umanità. Ma ciò implica che le democrazie ristabiliscano la loro capacità di agire come deterrente militare e tecnologico nei confronti delle tirannie contemporanee e che l’Europa ripensi sé stessa come potenza.

Come ci ricorda Stefan Zweig nel suo libro “Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo”: “Ma ogni ombra, in fondo, è anche figlia della luce, e solo chi ha conosciuto la luce e le tenebre, la guerra e la pace, la grandezza e la decadenza, ha vissuto veramente”. (Traduzione di Mauro Zanon)

Allievo di Raymond Aron, Nicolas Baverez è editorialista del Figaro. il suo ultimo libro è “Démocraties contre empires autoritaires: la liberté est un combat” (Éditions de l’Observatoire).

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