Zelensky va dal Papa a cercare il disgelo

Un anno fa l’udienza andò male, ora i presupposti sono diversi. Venerdì l’incontro in Vaticano

Venerdì, alle 9.30, Volodymyr Zelensky sarà ricevuto in udienza dal Papa. L’ultima volta che il capo dello stato ucraino si recò in Vaticano, nel maggio dell’anno scorso, non andò benissimo: al di là delle foto con Francesco attorniato da uomini in mimetica, i comunicati delle Parti non riuscirono a celare la freddezza, al di là della consueta e scontata “cordialità”. Troppa distanza, inconciliabili le istanze “pacifiste” del Pontefice con quelle di Zelensky che ribadiva la necessità di ricacciare indietro l’invasore senza concedere nulla. Meno d’un anno dopo, poi, tramite intervista a una radio-tv svizzera, Francesco parlava della bandiera bianca da sventolare quando si capisce che non si può vincere: da oltretevere fecero sapere che non si intendeva l’invito a una resa, ma il tentativo di gettare acqua sulle braci incandescenti ebbe scarso successo. Poi, la distensione. Al G7 pugliese, il Papa e Zelensky si intrattennero in un bilaterale: sorrisi, strette di mano, ringraziamenti corali e buoni propositi.

Sembrava iniziata una nuova èra. Ma solo due mesi più tardi, Francesco dalla finestra del Palazzo apostolico, al termine di un Angelus, condannava la legge ucraina che metteva al bando la Chiesa ortodossa ucraina legata a Kirill: “Per favore, non sia abolita nessuna Chiesa cristiana”. A Kyiv non la presero bene. Zelensky però non vuole rompere con Roma: con le elezioni americane imminenti e con lo spauracchio di un Trump assai più sensibile alle sirene moscovite, ha la necessità di tenere tutti i canali diplomatici aperti. Compreso quello con il Papa, autorità morale di riconosciuto spessore internazionale. E’ improbabile che le sue richieste saranno condivise da Francesco (che è sempre sembrato sostenere la necessità di concedere qualcosa al nemico pur di far cessare la carneficina), ma il fatto stesso che nel suo viaggio in Italia Zelensky abbia trovato il tempo di passare in Vaticano dimostra che una soluzione (qualunque essa sia) al conflitto può riguardare anche la Santa Sede.

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