La beata convinzione del sessantenne Mourinho

Ci si chiede se con l’età che avanza si cominci lentamente a cercare la serenità, contemplando una morte che sembra sempre più vicina. Anche se, di fronte ai risvolti della sua carriera, sembra che l’allenatore portoghese non si faccia problemi a uscire dalla sua zona di confort, giocando con la vita più che può

Nel leggere le fatiche di Mourinho in Turchia, alla guida del Fenerbahce, soprattutto dopo la sconfitta nel sentitissimo derby contro il Galatasaray, rifletto sul rapporto tra età e competizione, e per competizione intendo vita. José ha 61 anni, e fisicamente mi pare ancora giovane. Nel suo passaggio alla Roma, a un certo punto ha esagerato con il rumore dei nemici, gli arbitri soprattutto, finendo paradossalmente per venire tradito dal silenzio degli amici, la società, che mai parlava di lui per difenderlo e con lui per assecondarlo. La stessa storia è capitata a De Rossi, anch’egli abile compositore di versi, parlatore efficace e immaginifico, ma decisamente più giovane. Entrambi sono stati congedati da un freddo comunicato, che ha non spiegato affatto la verità dei rapporti difficili tra i due allenatori e la proprietà, bagnati da punte di veleno.



Quando Mourinho ha lasciato l’Italia mi sono chiesto se fosse ancora un bravo allenatore, senza darmi una risposta precisa, influenzato, probabilmente, dalla stima che provo per una persona tanto intelligente. Ma la domanda centrale è stata un’altra: si può considerare vecchio un uomo di sessant’anni? Avendo esattamente quell’età, alzando il bavero della giacca, come facevano i più ganzi della mia città (Pistoia), ho affrettatamente risposto di no, per non venire travolto dalla paura. In realtà, cenni autobiografici a parte (non è per vanità, diceva quello lisciandosi il capello) la questione va posta sotto un altro profilo.


Che idea si ha della vita e quindi, ribadisco, della competizione quando si compiono 60 anni? È questa la domanda importante, che presuppone uno scontato riflesso soggettivo. C’è chi vede il futuro sempre lontano ponendosi in competizione e chi lo guarda avvicinarsi minaccioso sottraendosi alla lotta. A quale categoria appartiene Mourinho? In generale, credo che l’età dell’oro sia quella dei quarantacinque, perché dietro le spalle si ha un’esperienza formativa, mentre davanti non si contempla la morte, vissuta come fenomeno distante e altrui. Poi, crescendo, le cose cambiano e ci si fa più guardinghi, prima sospettando e poi convincendosi, di non avere tanto tempo per dimostrare la propria esclusività. E allora si comincia a mollare lentamente, accantonando le piccole cose, i famosi dettagli che spesso fanno la differenza, in nome della serenità, con la quale si pensa, erroneamente, di garantirsi un’esistenza più lunga. Formato questo complesso (ma poi nemmeno tanto) ragionamento, rispondo che Mourinho appartiene alla categoria fuori concorso di chi si vuole divertire, giocando con la vita e assurdamente anche con la morte. Così facendo accetta tutte le scommesse che lo trascinano fuori dal suo conforto, convinto che uno sforzo gli allunghi l’esistenza. Nutrendo la sua maturità di una beata convinzione: quella di sentirsi un dio anche di fronte ad un tramonto.

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