Il prossimo 7 ottobre è in arrivo un numero speciale del Foglio

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore – Da qui al 7 ottobre, un pezzetto di “Statuto di Hamas” al giorno: “Abbandonare il circolo del conflitto con il sionismo è alto tradimento e risulterà in una maledizione sul colpevole”.

Andrea Minuz




Al direttore – Per favore, potete raccogliere e ripubblicare per il 7 ottobre tutti i punti segnalati da Andrea Minuz dallo statuto di Hamas? Li vorrei mandare a tutti quelli che parlano di genocidio palestinese perpetrato da Bibi (= Hitler). Sono sfinita da lunghe discussioni e batti e ribatti con tutta questa gente che non vuole capire. Un abbraccio a tutti voi del Foglio.

Attilia Giuliani

A questo proposito, un’indicazione: non si perda il numero del 7 ottobre.




Al direttore – Rosy Bindi, Andrea Riccardi e, ovviamente, Marco Tarquinio hanno espresso grande soddisfazione per il voto di tanti europarlamentari italiani contrario all’uso delle delle armi occidentali nel territorio russo. Pacifisti radicali, per loro il ricorso alle armi è sempre un crimine e non esistono guerre giuste. Beninteso, la maledizione della guerra e dei suoi orrori risale al paleolitico superiore. Viene cavalcata anche da due leader politici, entrambi devotissimi – oltre che a Putin – uno alla Vergine e l’altro a Padre Pio, per il consenso che riscuote tra gli elettori, poiché accantona il dilemma “burro o cannoni”. Ha scritto Norberto Bobbio: “Pacifismo non è soltanto invocare la pace, pregare per la pace, dare testimonianza di volere la pace […]. Opporre la nonviolenza assoluta in ogni forma, anche la più piccola, di violenza. Offrire l’altra guancia. Meglio morire come Abele che vivere come Caino. Ma non è forse vero che l’impotenza dell’uomo mite finisce per favorire il prepotente?” (“Il problema della guerra e le vie della pace”, il Mulino, 1979). Certo, Bobbio è un filosofo laico, e non fa testo per chi ha fede. Una fede talmente smisurata da dimenticare sistematicamente che il principio “Vim vi repellere licet” (è lecito respingere la violenza con la violenza), già presente nel Digesto di Giustiniano (533) e accettato da ogni ordinamento giuridico e da ogni dottrina morale, con una sua interpretazione perfino estensiva è stato accolto nel Catechismo della Chiesa Cattolica: “La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere” (n. 2265). Il guaio è che quanto afferma il Catechismo viene sistematicamente ignorato anche da Papa Francesco. Un Pontefice che dal febbraio 2022 non ha trovato il tempo per visitare la “martoriata Ucraina”, pur essendo stato in Canada, Malta, Kazakistan, Bahrein, Congo, Sudan del sud, Ungheria, Portogallo, Mongolia, Francia, Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor est e Singapore. Un Pontefice il quale non si stanca di ripetere che “la pace non si costruisce con le armi, ma attraverso l’ascolto paziente, il dialogo e la cooperazione, che rimangono gli unici mezzi degni della persona umana per risolvere i conflitti”. Chissà, forse pensava anzitutto all’autocrate del Cremlino, ma non ne sono molto sicuro.

Michele Magno

Suggerirei ai finti pacifisti italiani la lettura di un testo del cardinale Biffi, ricordato dal nostro Matteo Matzuzzi: “Sul concetto di pace sono sempre possibili equivoci e confusioni. Non è un valore la pace, se si risolve nella resa alla prepotenza, nella via libera data all’ingiustizia e alla sopraffazione, nella rassegnazione alla perdita della libertà. Pace non deve essere il nome nuovo della viltà. Si servirebbe molto meglio la causa della pace se, invece di reclamare disarmi unilaterali, immediati e senza garanzie (col rischio di provocare così l’aggressività e la temerarietà dell’altro contendente), ci si adoperasse piuttosto perché una pubblica opinione, forte e libera di manifestarsi, diventasse davvero una realtà di tutti i paesi della Terra”.


Al direttore – Il governatore Fabio Panetta ha pienamente ragione di sostenere, a proposito del Pnrr e del Mezzogiorno, che se la rapidità pregiudica l’efficacia, allora è preferibile una proroga dell’attuazione del Piano nell’area. Detto ciò, un allungamento dei tempi, considerata la storia dei rinvii e delle procrastinazioni che riguarda l’intero paese, spesso come risposta a inadempienze ed errori e fonte di nuove inadempienze, una proroga dovrebbe essere legata a vincoli e condizioni, nonché a straordinari controlli in corso d’opera, anche per motivi d’immagine a livello europeo e internazionale. Si dovrebbe trattare altresì di una decisione con “effetto-annuncio” concernente il modo con il quale si possono affrontare casi del genere perché non diventino più la via ordinaria per sanare le molteplici inadeguatezze nella progettazione e realizzazione di opere. Fare affidamento che, alla fin fine, vi sarà in generale – non con riferimento allo specifico caso citato – sempre la valvola di sfogo della procrastinazione, quasi istituzionalizzata, sarebbe non poco deleterio. Con i migliori saluti.

Angelo De Mattia

Del discorso sul Mezzogiorno di Panetta ci sono altri passaggi che però mi hanno colpito. Per esempio quelli in cui si dice che il sud può funzionare meglio non con i soldi a pioggia ma capendo quali sono i suoi difetti, i suoi deficit, le sue inefficienze, e dato che i vizi del sud sono spesso i vizi dell’Italia bisognerebbe iniziare a capire che per cambiare l’Italia occorre una svolta culturale, per così dire: non chiedersi continuamente cosa lo stato o l’Europa possa fare per noi ma chiedersi una buona volta cosa noi possiamo fare per noi stessi. Bella traccia

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