Moda, il difficile equilibrio fra la novità e il prezzo

Creative entro il consentito, senza eccessi perché in un momento difficile come questo le pressioni dei vertici sulle direzioni creative sono davvero pesanti, si vede e si sente, ecco l’alfabeto delle sfilate di presentazione delle collezioni estate 2025 di Milano. Che si chiama Milano Fashion Week, senza aggiunte.


A come attori. Vorremmo dirci che non siano necessari per il successo mediatico di una sfilata. Certo, come no. I grandi nomi della moda ormai consegnano alla stampa un foglio con l’elenco dei “guests and friends of the brand”, tutti prezzolati o testimonial sotto contratto si intende, ad esclusione di grandi artiste come Ellen von Unwerth e Marina Abramovic che in questi giorni hanno molto frequentato le sfilate per loro interessi specifici (Marina Abramovic si è anche presentata al Teatro alla Scala per vedere la mostra “Fantasmagoria Callas” curata da Francesco Stocchi, dopo un’infruttuosa visita al Museo Callas di Atene, si attendono sviluppi). Ma se Mario Dice è riuscito a coinvolgere quaranta attrici italiane e qualche nome internazionale molto amato anche in Italia come Carol Alt per la sua sfilata, ospite a Rho Fiera di Lineapelle, è impossibile identificare le decine di popstar coreane e cinesi che hanno affollato le prime file, ad esclusione di Jin, famosissimo anche in Italia e – da non credere – fra le ultra quarantenni, ospite di Gucci, e il gruppo coreano ENHYPEN (scritto maiuscolo), accolto da Prada. Per la stampa italiana, il grande divertimento snob è scuotere la testa e sentenziare che “questi asiatici non li riconosceremo mai” sentendosi superiori, che è come ovvio una solenne idiozia, considerato che il sistema al quale si inchinano ogni giorno, senza Cina e Corea potrebbe chiudere. Che poi tutti questi attori “convertano”, ovvero facciano vendere, è un altro discorso. Ed è anche una questione di prezzo (del capo, non dell’attore).

B come borse. Grandi, morbide, anche portate a braccio. Il miglior creatore del momento, che non significa ri-editore di modelli storici ma inventore, si conferma Maximilian Davies, cioè Ferragamo.

C come castagna. Insieme col rosso, l’altro colore inatteso della prossima estate. Max Mara, Herno, Lo si trova nello chiffon, nel lino, nella pelle (Tod’s, favolosi i capispalla). Spesso, e correttamente, questo punto elegante di marrone viene abbinato al rosa pallido.

C come classico. Se è quello di Bally, dove Simone Bellotti riesce a infondere allure perfino alle giacchette cropped (corte e avvitate) del costume tradizionale svizzero, siamo d’accordo.

E come editing. L’abbiamo scritto nei giorni scorsi, ma è evidente che per fare editing di pezzi storici e riassemblamento-aggiunta-introduzione di pezzi nuovi dando a tutto un senso ci si debba chiamare Miuccia Prada

F come fianchi. Eravamo certi che tutta la prostetica dell’ultima, favolosa collezione couture di John Galliano per Margiela Artisanal avrebbe lasciato traccia. Da dove credete che arrivino tutte quelle gonne cortissime a palloncino e quei soprabiti con i fianchi pronunciati, oltre all’evidenza che rispecchiano l’attuale evoluzione fisica di una quota non minore di ragazze?

F come frange. Ormai sono diventate un classico come il maculato, ma nessuno potrà battere l’abito in tripolina di seta rosso lungo di Daniele Calcaterra, per una volta disposto a trascendere dai volumi ampi e rigorosi che sono la sua cifra.

G come giacca. Di preferenza abbinata a gonne trasparenti, come da Fendi, bella dimostrazione della bravura dell’atelier. Tagliate a perfezione, come sempre, quelle di Ermanno Scervino, l’unica griffe italiana di grandissima sartorialità che non sgomita, non cerca di uscire dal proprio tracciato, non punta al miliardo di fatturato perché altrimenti dovrebbe dire addio ai ricami a telaio sul pret-à-porter e in buona sostanza non fa altro che altissima qualità, con belle proporzioni, per signore eleganti e belle ragazze che vogliono apparire sexy e preziose.

I come infradito. Qualcuno spieghi a Marco De Vincenzo di Etro e Maximilian Davis di Ferragamo che gli infradito a tacco alto sono bellissimi fino a quando non li si debba indossare.

I come inutili. Iniziano a esserci davvero troppe sfilate create per dare tono a collezioni di scarpe e borse, vero core dell’azienda. Ed è una pena per i creativi anche bravissimi che non vedranno mai le loro creazioni di abbigliamento nei negozi.

M come maglia e maglieria. Dopo qualche anno di abbandono, ricompare nelle più belle sfilate, anche lontanissime per obiettivi e fatturato come Andreadamo e Max Mara: molti fourreaux di cotone in colori solari, semplici e portabilissimi, anche da Luisa Spagnoli (per la messe dei politici che sono i primi lettori del Foglio: sono gli abiti lunghi a guanto), molte gonne di maglia, molte frange di maglia, che hanno anche il vantaggio di muoversi in modo più grazioso, leggero e meno sincopato di quelle di canutiglie. Da Andreadamo abbiamo sentito signore delle Milano elegante giurare che si assicureranno una delle gonne con il lato B non solo messo in evidenza, ma anche disegnato da un abile uso del colore.

M come Missoni. Sbaglia un creativo eccezionale come Maurizio Galante a ritenere che Filippo Grazioli, l’attuale direttore del brand, un tempo molto glorioso, abbia preso ispirazione da una sua storica collezione haute couture i cui capi unici sono stati scelleratamente venduti da una signora emiliana all’Archivio Mazzini, uno dei grandi depositi di meraviglie nei quali i designer vanno ufficialmente a caccia di idee. Probabilmente l’errore è dovuto alla sua assenza alla sfilata, perché fosse stato presente si sarebbe sicuramente rassicurato. Da quando, nel 2018, il Fondo Strategico Italiano ha acquisito oltre il 41 per cento del brand scegliendone manager e creativi, per la grandissima tribù mondiale che amava Missoni non si contano più le delusioni; questa collezione, però, spiccava per la sua lontananza ai valori del brand e per lo scarso garbo nell’accostamento dei colori. Non vorremmo smentire i colleghi, ma Piet Mondrian li accostava diversamente, con sfumature molto differenti. Dallo chic al cheap, è davvero un attimo. E, nel caso, si può sempre prendere lezioni da Matthieu Blazy di Bottega Veneta, che ha seguito la stessa strada di Grazioli, con risultati molto diversi (e senza che il maestro Galante battesse ciglio)

R come rosso. Non è il classico colore dell’estate, eppure, insieme con il giallo e il verde lime, è fra i colori di punta della prossima stagione. La tinta perfetta di rosso, identico a quello usato da Raffaello nel ritratto di Papa Leone X, si è espressa chez Brunello Cucinelli, finora piuttosto refrattario a divagare dalla sua ormai classica palette.

R come ricami. Abbiamo visto con questi occhi Daniela Kraler, che veste i ricchi e affluenti a Crtina e Dobbiaco, saltare dall’entusiasmo per un certo abito bianco e verde di Etro, sexy e divertente come il costume da flamenco a cui si ispira. Non tutti cercano il minimalismo e il lusso quieto.

S come stampe. Un classico dell’estate, ma anche pericolose: da quelle perfette ed eleganti come le faceva Dries Van Noten, di cui adesso a 10 Corso Como ci si contendono gli ultimi capi a sua firma, a quelle da bancarella del mercato del giovedì non ci vuole molto, purtroppo. Per questo, un grande plauso a Fausto Puglisi, per le sue stampe in seta froissé ariose, ispirate alle brezze e ai tramonti marini che, il confronto per una volta non è stato affatto impari, superano in bellezza quelle originali di Cavalli. E sì, ci è molto piaciuto anche l’uso delle cime e del sartiame per abiti e gioielli che spopoleranno fra le Sardegna e Saint Tropez, in un omaggio alla sua città d’origine, Messina, l’antica Zancle.

S come Sustainable Fashion Awards. Alla regia della serata di assegnazione dei premi per la sostenibilità curati da Camera Moda e che sono la versione eco degli oscar della moda delle fashion week di Londra e New York, è arrivato Marco Balich e si vede: spettacolo contenuto in un’ora e mezzo compreso il balletto di Nicoletta Manni che ha proposto, in un ideale passaggio di testimone con Luciana Savignano, il meraviglioso assolo “La luna” ; davvero ideale, nel senso di professionale, garbata, preparata, la conduzione di Freida Pinto. Si dice in teatro che il grande creatore di eventi dovrebbe restare anche per le prossime edizioni. Resta però da capire se la domenica sera sia la giornata ideale per assicurarsi il massimo di presenze internazionali o se, come è accaduto per questa edizione in cui Giorgio Armani non ha tenuto tutti inchiodati a Milano, avendo organizzato la sfilata a New York il prossimo 17 ottobre in concomitanza con l’apertura del nuovo complesso in Madison Avenue, si è assistito a un discreto fuggi-fuggi verso Parigi.

S come strutturale. E’ speranza di tutti che la crisi in corso non lo sia. Certo, è arrivato il momento di applicare dei correttivi al rapporto qualità-prezzo e tornare al buon, vecchio entry price di sostanza, che non possono essere le mollettine per i capelli, ma cinture, portachiavi, bijoux.

T come tessuto (o straccio, o “sheet”). Adrian Appiolaza, da meno di un anno direttore creativo di Moschino, sta entrando a poco a poco nella parte del grande dissacratore della moda che fu Franco Moschino, per cui ok, ci sta bene anche l’intitolazione un po’ grossière della sfilata (“a piece of sheet”), la prima modella uscita avvolta appunto in un lenzuolo e l’allestimento di panni stesi. Però anche per lui la fase di apprendimento dei codici, pur esplosivi, della maison, non si è ancora conclusa: dopo un inizio scoppiettante e una seconda sfilata convincente, questa terza sembrava un po’ troppo creata per gli addetti alla moda, e nemmeno tutti. Essendo però bravo, dobbiamo dargli tempi.

T come trasparenze. Pizzo, chiffon spalmato effetto metallo, organza, garza: sotto, come ovvio, molte culotte. Sopra, giacche. Sabato De Sarno si è speso molto in abiti taglio sbieco di pizzo, a nostro parere meno vicini all’heritage del marchio rispetto ai cappottini Anni Sessanta con stampa nipponica e ai cappottoni davvero interessanti, molte gonne visibili solo per i ricami da Fendi

T come tute. Dice Rocco Iannone di aver seguito i consigli di tutti noi, insopportabili esegeti della moda, e di aver inserito molte tute di pelle nella prossima collezione, che sarebbe una primavera-estate, ma essendo gli emisferi due e la moda globale, il nostro punto di vista è limitato al nostro orizzonte. Le tute sono in effetti bellissime, quella tamponata per ricordare i volanti in radica troverà di certo degli estimatori, per non dire i blouson che sono davvero fantastici; eppure continuiamo a pensare che i pezzi forti siano guanti, occhiali, borse, perfino i micro beauty case. Insomma, altissimo merchandising.

V come vestaglia. L’alternativa allo spolverino, lunghe come ovvio fino ai piedi, stampate ma anche in seta operata. Belle quelle di Hui

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