Il superfluo studio sugli effetti del 5G promosso dalla regione Toscana

C’è un legame fra i tumori accusati dalla popolazione e i campi elettromagnetici generati dalle antenne sul territorio? No, o così almeno dicono gli scienziati sul tema. La regione però dispone un nuovo studio (con soldi pubblici)

Il 16 marzo 2017 partiva il processo di sperimentazione del 5G in Italia che avrebbe interessato cinque città italiane: l’area metropolitana di Milano, L’Aquila, Bari, Matera e Prato. “Vogliamo che i territori individuati diventino luoghi per la sperimentazione dei servizi innovativi”, si scriveva il giorno del lancio nel capoluogo toscano prima che, nella lunga lista di ostacoli che sta affrontando il 5G, arrivasse anche una regione a mettere la propria firma.

La discussa delibera della Regione Toscana

La notizia di oggi, con cui hanno aperto le loro edizioni le testate regionali, è che la Regione Toscana vuole promuovere uno studio sugli effetti del 5G: un’analisi per capire se ci sia un legame fra i tumori accusati dalla popolazione e i campi elettromagnetici generati dalle antenne sul territorio. Una vecchia battaglia di tanti comitati locali, nata addirittura con le prime installazioni del 3G a inizio degli anni Duemila, che ha seguito ogni aggiornamento delle frequenze della telefonia mobile. Dopo il 3G, fu l’ora del 4G e l’allarme dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, datato 2013 e richiamato nel progetto allegato alla delibera, è stato oggetto di studi in questo decennio. Non sorprende quindi che questa scelta abbia fatto esplodere i commenti degli scienziati – dal biofisico Ranieri Bizzarri a Roberto Burioni – per esprimere dubbi sull’utilità di spendere denaro pubblico per avere risposte che abbiamo già da anni. Nello specifico, per questa ricerca, sono stati stanziati 222.720 euro, una cifra perfino modesta per uno studio con obiettivi così ambiziosi. Già, il 5G è nuovo ma non così tanto. Anzi. È una tecnologia che si è affermata, i nuovi smartphone l’hanno abilitato ormai in quasi tutte le fasce di prezzo, e i cittadini lo apprezzano. I motivi sono anche piuttosto semplici, la velocità di navigazione è più performante e le applicazioni possibili sono innumerevoli. Potrebbero essere anche di più se non fosse stato così difficile il percorso che ha portato a cambiare la legge sulle emissioni elettromagnetiche. Questo però è un altro discorso.

L’atavica avversione per le nuove frequenze

In questo limbo tra uso pratico e teoria, ci sono coloro che hanno mostrato atavicamente un pregiudizio contro questa tecnologia. Eppure la stessa Regione Toscana ha sempre portato avanti messaggi rassicuranti per il passaggio al 5G: l’agenzia regionale per la protezione ambientale, Arpat, aggiorna da anni una pagina dedicata ai campi elettromagnetici, e nello specifico al 5G, in cui rassicura i cittadini toscani su questa tecnologia.

[Video Regione Toscana del 2020]

Non sappiamo cosa sia cambiano dall’ultimo aggiornamento di giugno a oggi per arrivare alla necessità di questo nuovo studio: sarà ridondante ricordare che esiste, fin dal 2019, un documento divulgativo prodotto dal Centro Nazionale per la Protezione dalle Radiazioni e Fisica Computazionale dell’Istituto Superiore di Sanità o i vari rapporti che l’Oms ha pubblicato coordinandosi con le varie autorità nazionali. Chissà se la viralità della notizia non scateni di nuovo timori che sembravano essere stati dimenticati. Peccato perché, già due anni fa, uno studio Censis aveva sentenziato che le paure dei cittadini per il 5G erano ormai marginali.

L’unico errore da non fare è pensare che sia un problema solo locale o banalmente toscano: i vicini svizzeri, dove la copertura 5G è una delle più ampie al mondo, hanno dovuto creare un’associazione (Change5G) per raccontare con dati scientifici i vantaggi di una tecnologia che già il prossimo anno dovrà confrontarsi con la standardizzazione del futuro 6G. Per quella polemica però c’è ancora tempo, almeno fino al 2030.

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