La vita oltre al Parlamento: dieci storie di dieci ex eletti

Ritorno a un futuro fuori da Camera e Senato: che fanno, come stanno, come vivono ora la politica le tante e i tanti rimasti senza seggio dopo le ultime elezioni (spoiler: sono rare le crisi d’astinenza)

Cambiare aria, cambiare vita, aprire un chiringuito: quante se ne dicono quando la routine diventa cappa che stritola e affossa? Ma c’è chi, pur non volendo, si è trovato a pensare davvero a che cosa fare non da grande, ma da domani, con salto quantico da una dimensione a un’altra, senza passaggi intermedi e senza graduale processo di ambientamento. È il caso di molti ex parlamentari, alcuni di lungo corso, altri con meno anni di Aula alle spalle: persone trovatesi a un certo punto, chi due chi più anni fa, a guardarsi allo specchio per rifare a sé stessi la domanda “chi sono e dove vado”, non senza iniziale sgomento ma a volte con grande soddisfazione. C’è vita oltre il Parlamento, e non sempre si sta peggio di prima. Lo hanno detto con fatti e parole alcuni “ex” molto noti, dall’ex parlamentare ed ex ministro delle Politiche Agricole Nunzia De Girolamo, oggi conduttrice televisiva e opinionista con varie digressioni in programmi di intrattenimento, all’ex ministro dell’Interno Angelino Alfano, avvocato e socio di un grande studio milanese, oggi anche al vertice di alcune grandi nella Sanità (Gruppo San Donato), nelle concessioni autostradali (Astm) e nel gruppo Esselunga, con aggiunta di incarichi di prestigio, dalla Fondazione De Gasperi all’università Luiss. Ci sono poi i vini dell’ex premier Massimo D’Alema, i libri dell’ex parlamentare Pippo Civati, oggi editore, il trattore dell’ex pm e leader di Italia dei Valori Antonio Di Pietro, oggi dedito, ha raccontato lui stesso, a un “ritorno alle origini” contadino, e gli investimenti nella ristorazione degli ex parlamentari grillini Giuseppe Brescia e Michele Dell’Orco e i sogni di fuga con apertura chiosco su una spiaggia spagnola dell’ex parlamentare M5s e poi dimaiano Sergio Battelli, oggi riavvicinatosi alla politica con Più Europa.

E gli altri? I tanti e tante non rientrati alla Camera o al Senato nel 2022 per ragioni diverse, non sempre (anche se il tema ricorre spesso) legate al taglio dei parlamentari? Come vivono il passaggio? Che cosa fanno? Sentono o meno la mancanza della vita politica, fatta di adrenalina e stress ma anche di grandi opportunità? Restare senza seggio è come scendere dalla carrozza di Cenerentola tornata zucca o, al contrario, è il punto di partenza per un viaggio inaspettato? A due anni dall’avvio dell’ultima legislatura, la prima dopo il taglio suddetto, abbiamo raccolto qualche storia, facendoci raccontare dai diretti interessati come si sta al di qua dei Palazzi, ma dopo esserci stati a lungo.

Marco Di Maio

Ex deputato per il Pd, prima, e per Italia viva, poi (c’è chi, tra i renziani, lo chiama “cofondatore”), ex giornalista sportivo a Forlì ed ex portatore dell’epiteto “il Di Maio non Cinque stelle”, Marco Di Maio ha scelto, nel 2022, di non ricandidarsi. “Sono orgoglioso del mio percorso e pronto psicologicamente ad affrontare altre avventure”, aveva detto nel momento in cui, dopo quasi dieci anni di Parlamento, si era creata per lui la classica situazione in cui fare un passo di lato ma anche in avanti (verso altro, e cioè la carriera nel privato, per guadagnarsi “la vita da solo”, dice) era parsa l’unica strada percorribile. E oggi, mentre accompagna suo figlio al primo giorno di scuola, attività non sempre possibile quando si è deputati, Di Maio si guarda indietro e non ha rammarico. Anzi.

Appare sereno nei panni dell’attuale ruolo all’interno della sede romana dello studio Gitti (regulatory e public law), consulente per il monitoraggio del processo legislativo in Italia e all’estero e nelle relazioni pubbliche e istituzionali. In particolare, Di Maio, che da deputato è stato sia in commissione Finanze sia nella commissione Affari costituzionali e che da ex cronista si appassiona a scrivere editoriali online, oggi assiste clienti in vari settori, dalle energie rinnovabili e all’intelligenza artificiale. Non è stato un trauma, il ritorno al privato, racconta. “La politica è un impegno temporaneo, lo sapevo e lo so. Non ho cercato altri ruoli, ed essendo entrato in Parlamento a 29 anni per uscirne a 38 non mi dispiace misurarmi in un altro campo professionale”.

Marco Di Maio – foto Facebook

Niccolò Invidia

Eletto ventinovenne nel 2018 alla Camera con il Movimento Cinque stelle, da cui poi si è allontanato, Niccolò Invidia oggi non sente la mancanza dei cinque anni da parlamentare. “Apprezzo la libertà”. Dal giorno successivo all’addio al Parlamento, Invidia si è messo all’opera nella nuova frontiera della medicina per la longevità e ha istituito una fondazione a Bruxelles (Aeon foundation per una “longevity society” e “una nuova fase per una umanità guidata dalla tecnologia”) e poi una società, convinto che il futuro, in campo sanità, vada sempre più in direzione della prevenzione. “Aeon mira a tradurre le più recenti ricerche scientifiche nel campo della longevity in politiche in grado di estendere la vita umana e migliorare la qualità della vita”: questo l’obiettivo.

Dopo cinque anni in Parlamento, e dopo l’addio ai Cinque stelle, Niccolò Invidia ha maturato la convinzione che spesso sia meglio “una start-up di un emendamento”: “La politica è lenta, a volte la burocratizzazione della metodologia politica impedisce di agire con agilità in campi in cui il tempo è tutto, al punto che qualsiasi cambiamento diventa impraticabile. Lo dico con umiltà, dopo anni di osservazione: non credo questo paese sia recuperabile senza un cambio di metodologia”. Alla vita in Parlamento Niccolò Invidia riconosce un merito: “Il privilegio della conoscenza dall’interno di alcuni meccanismi. Ma è proprio quando li conosci che ti dici: meglio la libertà di costruire qualcosa con le proprie mani. Forse per me è più facile, non avendo un vero e proprio senso di appartenenza verso un partito o verso un’istituzione a prescindere”.

Niccolò Invidia – foto Facebook

Simone Baldelli

Deputato azzurro (Forza Italia) dal 2006 al 2022, e dai 34 ai 51 anni, vicepresidente della Camera e delegato d’Aula, Simone Baldelli è stato il punto di riferimento dei giovani berlusconiani negli anni duri del berlusconismo, prima, e un pilastro del partito, poi, non senza dimenticare il giornalismo, sua prima passione, l’insegnamento (docente di Diritto parlamentare a contratto) e l’hobby non hobby (nel senso che è un grande amore quasi quanto quello per la politica), della musica – che ha subito recuperato dopo l’uscita dalla Camera. Uscita non facile, quella dal Palazzo, racconta Baldelli, senza nascondere la difficoltà di trovarsi improvvisamente non soltanto in una dimensione diversa, ma anche nella condizione di dover assumere un ritmo di vita diverso da quello tenuto per quasi vent’anni, reinventandosi impiego e abitudini. E se è vero che Baldelli ha avuto più tempo per stare con sua figlia, è anche vero che questo tempo ritrovato gli ha offerto una visuale impietosa su chi ti era davvero amico e chi no, e su chi era interessato a te e chi ad altro.

Non aveva un piano B, Baldelli, che non ha mai usato il mandato, dice, per costruirsi un domani sicuro. Oggi riflette sul come, anche attraverso la legge sulla riduzione dei parlamentari, “si sia potuti passare dall’èra dei vitalizi al nulla”, e “a una distorsione nel naturale ricambio fisiologico della rappresentanza, con passaggio da un ricambio del 20-30 per cento a un ricambio di ben oltre il 50 per cento, con impoverimento della rappresentanza stessa, rispetto allo spessore culturale e all’esperienza” (Baldelli era infatti alla testa del fronte del “no”, ai tempi del referendum). Gli sono stati offerti incarichi di livello nel privato, ma finora Baldelli li ha valutati per poi rifiutarli, dividendosi tra il giornalismo (Huffington Post, Corriere, Milano Finanza) e la musica (duo chitarra e voce e percussioni, e produzioni sue), ma non andando mai davvero via dal Palazzo – luogo che Baldelli continua assiduamente a frequentare.

Non è una sorta di mal d’Africa, è la continuazione dell’impegno nel partito (l’ex deputato è segretario generale di FI al Senato) ed è anche sintomo del non voler recidere il filo con quella che resta una grande passione. Baldelli pensa di aver fatto bene a dedicarsi totalmente alla politica, nei suoi 18 anni d’Aula, ma negli ultimi due difficili anni si è ritrovato spesso a riflettere sulla mancanza di riconoscimento del sistema per l’impegno profuso da chi ha dedicato la giovinezza alle istituzioni. A voler per esempio fare un concorso pubblico, dice Baldelli, gli anni da parlamentare contano zero, a livello di punteggio, meno di un lavoro socialmente utile. Pensiamoci per chi verrà dopo, è l’auspicio, come quello di poter un giorno rientrare.

Simone Baldelli – foto Ansa

Giuditta Pini

Modenese, deputata per il Pd dal 2013 al 2022, già esponente della corrente dei Giovani Turchi, una volta uscita dal Parlamento, alle soglie dei quarant’anni, Pini si è dedicata quasi a tempo pieno, per più di un anno, al tema dei diritti delle persone in migrazione, nel Mediterraneo e non solo, a livello di volontariato, mantenendo anche la presenza nel partito. Da pochi giorni, però, Pini ha cominciato a lavorare per un’agenzia di comunicazione politica, la Strategy design. “Passo dall’altra parte, con il ruolo di account manager, e sono molto contenta di cambiare prospettiva”, dice.

Giuditta aiuterà i suoi clienti nelle campagne elettorali e nella definizione delle loro strategie. Il passaggio non è stato indolore: “Dipende da come vivi le cose, ma è chiaro che lì per lì sopraggiunge una sorta di sindrome d’abbandono. Ma è anche vero che quello di parlamentare è un lavoro precario, e per così dire anche ‘appeso’ al volere del segretario di turno. Ora spero di mettere le competenze acquisite nei dieci anni di Parlamento al servizio della mia nuova occupazione”. Lato positivo del salto nella vita post Parlamento, per Pini: il tempo di nuovo “espanso” dopo dieci anni di “frullatore”, e la “riscoperta di tante cose, a partire dalla libertà di passare un fine settimana che sia un fine settimana”. Per non dire del “ridimensionamento della sindrome di Napoleone: non sei al centro del mondo”.

Giuditta Pini – foto Ansa

Massimo Ungaro

Già deputato del Pd e poi di Italia viva, eletto nel 2018 nella circoscrizione Estero, Massimo Ungaro, a trentasette anni, ha già vissuto due volte l’andirivieni da un mondo all’altro: prima quando ha lasciato l’Italia, diciottenne; poi quando ci è tornato da parlamentare, dopo più di dieci anni di lavoro oltreconfine, fatto con l’idea di “servire la Repubblica e combattere l’antipolitica sapendo “che il livello della classe politica rispecchia gli elettori”; infine con il viaggio di ritorno verso la vita precedente (e successiva). E insomma, oggi Ungaro è tornato a lavorare in una banca d’affari internazionale, stesso mestiere che svolgeva prima dell’elezione in Parlamento, anche se, fin da adolescente, ha militato nella Sinistra giovanile dei Ds e ha poi co-fondato il Pd locale a Londra. Non si aspettava di essere eletto nel 2018, Ungaro, e con molte preferenze, visto che all’estero le liste non sono bloccate.

Primo cambio di vita: “Dal trading floor alla Camera, un vero choc. Servire la Repubblica è stato senz’altro il più alto onore della mia vita, e sono grato agli italiani residenti all’estero per avermi dato questo compito, compito a cui ho dedicato tutte le mie energie ogni giorno per quattro anni”. Sulla rielezione Ungaro non si faceva illusioni, dato il taglio dei parlamentari (che lui non ha votato). Che cosa porta con sé dell’esperienza, ora che è tornato a lavorare nel settore privato, l’ex deputato? “Ho capito la forza della democrazia rappresentativa e l’importanza del parlamentarismo. È un patrimonio enorme che dobbiamo tutelare e che invece oggi viene denigrato, troppo spesso anche dalle persone più istruite e informate. Anche se potente, la nostra democrazia poggia su basi fragili: servono elettori informati e coinvolti ed eletti autonomi e in buona fede, e questo necessita dell’impegno costante di cittadini pronti a studiare e a mettere avanti il bene comune. Condizioni sempre più difficili, data la crescita dell’astensionismo da un lato e del populismo imperante dall’altro”.

Massimo Ungaro – foto Facebook

Luca Carabetta

Eletto nel M5s nel 2018, con una laurea al Politecnico di Torino alle spalle, vicepresidente della commissione Attività produttive della Camera durante il mandato nonché responsabile Innovazione nel cosiddetto “Team del futuro” e coordinatore del comitato per la transizione digitale del M5s, Carabetta, oggi trentatreenne, dice di aver preso il passaggio a ritroso verso la vita da non-parlamentare come un “naturale ritorno a quello che facevo prima, quando, dopo la laurea, avevo fondato due start-up nel campo delle nuove tecnologie”. Carabetta si è quindi immerso nuovamente in quell’universo, vista anche la contemporanea crescita di attenzione per l’intelligenza artificiale, con attenzione alle “sfide di innovazione che devono oggi affrontare sia le Pmi sia la Pubblica amministrazione”.

Dal punto di vista psicologico, dice Carabetta, “chiunque, e non solo io, quando entra in Parlamento deve mettere in conto da subito l’idea di una futura non-rielezione, e vivere la politica come servizio. Ecco, la coincidenza tra la mia esperienza alla Camera e il boom dell’AI è stata una sfida per me, dal punto di vista professionale e dal punto di vista umano, rispetto al rapporto con i colleghi”. “Molto diverso è il mio lavoro oggi”, dice l’ex deputato, anche se ancora gli capita di “dare una mano dal punto di vista tecnico” se qualche ex collega ha bisogno di consigli sul campo. Diverso in che cosa? “La prima cosa di cui ti rendi conto”, dice Carabetta, “è il fatto di non avere più tutta quella pressione addosso, anche se è proprio quella pressione, a volte, a farti fare uno scatto: più esperienza, più conoscenza.

Oggi, nel mondo imprenditoriale, faccio tesoro di quello che ho imparato e penso sia bello poter cambiare, e occuparsi, come me ora, di capire dove si sposta il confine di tutto ciò che c’è di innovativo nel mondo, per poterlo poi trasportare in piccolo nella realtà più vicina a me”. Al tempo stesso Carabetta è felice quando si ritrova nei pressi di Montecitorio, persino nel bar dove andava da deputato. “Però penso si possa dare un contributo al paese anche stando fuori dal Palazzo, con il proprio lavoro”.

Luca Carabetta – foto Ansa

Alessia Rotta

Deputata pd (eletta in Veneto) per due mandati, dal 2013 al 2022, con molti voti raccolti a Verona alle primarie per la scelta dei candidati in Parlamento, dopo una laurea in Scienze della comunicazione con tesi su “La periferia nel cinema francese” e una carriera da giornalista nella stampa locale, Alessia Rotta oggi sospira dicendo “altroché se c’è una vita dopo il Parlamento”.

E lo dice sia per aver vissuto, da quando è uscita dalla Camera, all’età di 47 anni, una difficile situazione in ambito privato, sia per quello che vive oggi come vicepresidente di Autostrada del Brennero A22, in un organismo, dice, “che funziona e fa utili. Non è vero che non funziona mai niente, come da ritornello antipolitico, anzi”. In mezzo, l’impegno nella campagna per la corsa a sindaco (l’attuale sindaco dem di Verona) di Damiano Tommasi, l’elezione a consigliera comunale, e il recupero di una dimensione mai dimenticata, in realtà: “Io sono grata di quello che ho avuto con la politica”, dice Rotta, e degli anni da parlamentare, e per questo oggi mi sento di poter in qualche modo ‘restituire’ qualcosa alla comunità sotto altre forme”, dice Rotta, “ma non mi sono mai trasformata in altro-da-me: ho mantenuto gli stessi amici e le stesse abitudini prima, durante e dopo.

Certo, cambia o può cambiare il tenore di vita”. Nel suo caso no. Rotta ha continuato a fare le cose che faceva a monte di essere parlamentare anche durante gli anni in Parlamento, e tanto più le fa ora, sempre tenendo a mente la massima “i soldi possono andare e venire”. Non sono stati mai per lei la motivazione numero uno, dice. “Faccio con quello che c’è e sono calvinista. Credo si debba fare in modo di mantenere sempre i propri punti fermi e possibilmente sapersi spogliare di un privilegio, tanto più se si vive in un territorio in cui si è a contatto con chi – partite Iva, famiglie, aziende – in questi anni ha affrontato congiunture difficili”. Nel post Parlamento Alessia Rotta ha approfondito l’impegno nel volontariato con l’associazione Burundi – che si occupa di educazione delle bambine, in continuazione con la campagna “Burundi più bambine a scuola”, in paesi dove si assiste a uno squilibrio tra i sessi nella popolazione scolastica (le famiglie più vulnerabili faticano a coprire i costi di uniformi e materiali scolastici, limitando così l’istruzione delle ragazze e favorendo i figli maschi).

Alessia Rotta – foto Ansa

Alessia Morani

Deputata fino al 2022, sottosegretario allo Sviluppo economico nel governo Conte II, Alessia Morani, dopo l’uscita dal Parlamento, è tornata, all’età di 46 anni, a fare l’avvocato matrimonialista, sua professione precedente: “Ho ripreso il cammino che avevo interrotto nel 2013”, dice, “ritenendo che gli incarichi da deputata e poi anche da rappresentante del governo fossero incompatibili con l’attività privata. Una volta conclusa l’esperienza alla Camera, in questi due anni, ho ricominciato a lavorare con soddisfazione, forse anche perché la voglia di lavorare non mi è mai mancata”. Abituata a relativizzare dai tempi in cui, nel 2003, ha dovuto affrontare una grave malattia, come lei stessa ha raccontato un giorno a “Non è l’Arena”, su La7, tanto più ha relativizzato stavolta. “È come se avessi già avuto una seconda vita”, è il suo motto, applicato anche alle discussioni interne al Pd, da membro del Collegio dei probiviri dem. Ma impegno su altro, per Morani, non vuol dire disimpegno: quando la invitano in tv ci va, anche da “esterna”. La militanza, dice, “prescinde dall’incarico elettivo. Dunque vado avanti”.

Alessia Morani – foto Ansa

Vito De Filippo

Ex presidente della Regione Basilicata dal 2005 al 2013, con lunga carriera nella Margherita, nel Pd e in Iv (con ritorno ai dem) alle spalle, sottosegretario al ministero della Salute con Beatrice Lorenzin (nel 2014, governo Renzi) e nel 2018 al Miur (governo Gentiloni), deputato fino al 2022, De Filippo oggi, a poco più di sessant’anni di età, dedica il tempo “liberato” dall’uscita dal Parlamento all’azienda agricola di famiglia (azienda attiva da più di un secolo, sotto varie forme), ma mente e cuore sono rimasti a Montecitorio, e non soltanto perché De Filippo resta membro della direzione dem nazionale e locale.

“Continuo a interagire”, dice mentre racconta dell’altra sua attività post Parlamento, nella “formazione medica” e nella “programmazione sanitaria”, come uomo-ponte tra istituzioni, società scientifiche e realtà della sanità regionale. “Ma se devo dire la verità, mi manca il fatto di starci, nelle istituzioni, e anche se nella vita ci si deve fare una ragione di tutto, dispiace non essere stato eletto al Senato per un minimo scarto di voti, in una regione in cui gli effetti del taglio dei parlamentari si è sentito più che altrove”.

Vito De Filippo – foto Ansa

Salvatore Margiotta

Lucano come De Vito, già più volte parlamentare Pd (con addio e ritorno) e sottosegretario ai Trasporti con Paola De Micheli nel governo Conte II, sessant’anni compiuti la primavera scorsa, Margiotta, ingegnere nella sua prima vita, ha ripreso oggi sia l’insegnamento sia l’attività privata. Dopo diciassette anni in politica, il senso di straniamento è un po’ quello di chi si sveglia dopo cent’anni nel castello della “Bella addormentata nel bosco” o quello della co-protagonista del film “Goodbye Lenin” (2003, per la direzione di Wolfgang Becker), che si sveglia dal coma dopo qualche mese dall’abbattimento del Muro di Berlino, motivo per cui il figlio, conoscendone la passata fede incrollabile nel comunismo, cerca di nasconderle l’accaduto, dando vita a un esilarante percorso di finzione-negazione.

“Ho trovato per così dire un mondo diverso da quello che avevo lasciato quasi vent’anni fa”, dice Margiotta, “ma devo dire che l’ultimo periodo è stato stimolante per un ingegnere, tra fondi Pnrr e Superbonus. Non mi sono intristito più di tanto, lasciando il Parlamento, e non mi intristisco più di tanto oggi, ma resto in osservazione nella direzione del partito e attraverso l’ascolto di amici ed ex colleghi. Ma se mi chiedessero “rifaresti tutto, torneresti in Parlamento?’ non avrei dubbi: ci riproverei volentieri”.

Salvatore Margiotta – foto Ansa

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l’Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l’hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E’ nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.

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