Quella di Salvini è una difesa che va oltre i confini dei fatti e della legge

L’accusa ha chieso sei anni di carcere per il vicepremier, lui si difende con due nuovi capitoli del suo libro “Controvento” che sembra sempre più “sottosopra” il modo nel quale interpreta il quadro dei fatti contestati

Dopo il cinema, la letteratura. Il vicepremier Matteo Salvini sveste gli abiti dell’imputato su sfondo nero e occhi sgranati rivolti a filo macchina per mettere mano alla tastiera e compilare per iscritto il suo memoriale sul caso Open Arms. Il vicepremier vuole svelare la sua verità, a pochi giorni dalla requisitoria della pubblica accusa, che ha chiesto per lui sei anni di carcere – oltre un milione di euro è invece la richiesta di risarcimento avanzata dalle parti civili. Freschi di stampa, ecco allora due nuovi capitoli che vanno ad arricchire la biografia politica di Salvini. E a leggere d’un fiato il suo diario, più che “Controvento”, è “Sottosopra” il modo in cui Salvini interpreta il quadro dei fatti contestati.

Il primo capovolgimento riguarda il cuore pulsante della sua linea difensiva, ovvero che la difesa dei confini prevale su tutto, diritti umani compresi. Cita l’articolo 52 della Costituzione – “La difesa della patria è sacro dovere del cittadino” – ma omette un’altra disposizione della Carta, l’articolo 10, che dice questo: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”. Norme che Salvini dimentica in ognuno dei suoi passaggi, ma che per i pm di Palermo sono alla base dei reati contestati – sequestro di persona e omissione di atti d’ufficio. Ma nel mondo sovranista del leader della Lega, a essere chiusi non sono solamente i porti, ma anche l’ordinamento giuridico italiano. Per lui, è come se il diritto internazionale non esistesse. Nonostante la dovizia di dettagli su tesi complottiste varie e assortite – immancabili Palamara e la giudice Apostolico – Salvini manca di spiegare per quale motivo il suo caso dovrebbe essere immune all’applicazione della Convenzione Solas del ‘74 o di quella Sar del ‘79 oppure della Unclos dell’82. Sono solamente alcune delle convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia e che, secondo i pm, Salvini avrebbe violato nel rifiutarsi di assegnare un porto sicuro alle 147 persone salvate da Open Arms nell’arco di 20 giorni. Leggi essenziali che chiariscono come la difesa dei diritti fondamentali – la vita è una di questi – prevalga su quella dei confini. Puntualizzano come persino in presenza di comprovati sospetti sulla presenza di terroristi fra i naufraghi – e il dibattimento ha dimostrato come simili sospetti non siano mai emersi all’epoca dei fatti – prima si salvano le persone e poi, sulla terraferma, si processano. Specificano che un pos (place of safety) non può mai essere considerato un’imbarcazione perché un barchino stracolmo di migranti è considerato in sé e per sé in pericolo, a prescindere dalla sussistenza di un rischio immediato. Per lui, per Salvini, esistono invece “la sinistra e i pm di Palermo che vogliono Matteo Salvini in galera”, esiste la volontà di processare una politica – quando il Parlamento ha deciso che, più modestamente, si debba procedere a processare la gestione di un evento di salvataggio in mare e una serie di atti amministrativi.

Esiste poi, e questo è il filone semi-comico nella ricostruzione di Salvini, il famigerato “sommergibile Venuti”, il coniglio dal cilindro che da un anno il ministro agita come la prova provata del complotto ai suoi danni.

Le rivelazioni emerse dal pattugliamento del sottomarino della Marina militare il primo agosto del 2019 erano talmente scioccanti che all’epoca il Viminale, informato dei dispacci del comandante Stefano Oliva, li relegò nel faldone delle cose poco urgenti, perché dentro non trovò nulla di utile a scagionare l’allora ministro dell’Interno. Ma a distanza di quattro anni riecco Venuti e riecco il complotto, perché la difesa di Salvini asserisce di non essere mai stata informata dell’esistenza di un sottomarino. Falso, replica la procura, perché il ministero dell’Interno ne era stato messo a conoscenza fin da subito. “Un episodio gravissimo che in un paese normale provocherebbe ondate di indignazione e inchieste giornalistiche sui meccanismi della giustizia e della politica”, scrive Salvini. Il sommergibile, che casualmente si trova in quel tratto di mare, intercetta alcuni dialoghi a bordo di Open Arms e scatta delle foto. “Rivelazioni fondamentali”, per il ministro, che dimostrerebbero come “in quell’agosto 2019 c’erano dei sospetti sull’attività della Ong”. Rivelazioni fondamentali tipo questa: “Emerge che due persone, di cui una ‘probabilmente a bordo’ della Open Arms, parlavano in spagnolo e che verosimilmente si trovavano a poca distanza l’una dall’altra”. Due persone che parlano in spagnolo su una nave spagnola. Incredibile, ma non è finita qui, perché “dopo questo dialogo la Open Arms aveva cambiato rotta senza motivo apparente: guarda caso, si era avvicinata al punto esatto dove era presente un barchino con dei migranti”. Coincidenze? “E’ lecito pensare che il materiale potrebbe provare la presenza di scafisti e di comunicazioni rilevanti con la Ong”, conclude Salvini. Su quali basi sia “lecito pensarlo”, non è dato sapere ma quel che invece si sa per certo è che fino a oggi ogni indagine e ogni procedimento su questo tema sono stati sempre archiviati per mancanza di prove.

Poi c’è la ricostruzione delle offerte di porti di sbarco che, secondo Salvini, Open Arms avrebbe rifiutato ostinandosi a volere attraccare solamente in Italia. “No, no, no”, ripete stizzito l’imputato nel suo libro riferendosi ai tre dinieghi che la nave ong avrebbe dato rispettivamente a Malta, Spagna e Tunisia. Peccato che la prima avesse offerto un porto – peraltro vicino a Gibilterra, per poi “avvicinarlo” alle Baleari – il 18 agosto, cioè 18 giorni dopo l’inizio della crisi e appena due prima che si concludesse. Peccato che Malta avesse offerto di accogliere solamente 39 migranti, quelli recuperati nel secondo salvataggio avvenuto nella sua zona Sar e che il comandante della Open Arms avesse rifiutato perché temeva disordini tra i naufraghi a bordo. Peccato, infine, che non solo non è vero che la Tunisia abbia mai offerto di fare sbarcare i migranti ma che, se anche lo avesse fatto, Tunisi non è un porto sicuro per via delle sue violazioni dei diritti umani. Ma insomma, tutto vale. “L’ho fatto, lo rifarei”, conclude l’imputato. Se ne riparlerà il 18 ottobre, quando per la requisitoria della difesa Salvini potrà contare su un nutrito drappello di sostenitori pronti a fare il tifo per lui fuori dall’aula bunker dell’Ucciardone. E’ prevista anche la partecipazione di una delegazione inviata da Viktor Orbán. “E’ il nostro eroe”, ha detto di Salvini. Punto. Fine del primo capitolo.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare “Morosini”. Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.

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