Rendere visibile l’indicibile è il senso dell’arte

Lo sforzo di ogni artista è di dare forma e colore a ciò che sembra invisibile, allo scandalo e all’orrore che sfugge ad ogni tentativo di spiegazione: nell’impresa coraggiosa (ma fondamentale) di descrivere l’orrore

La descrizione dell’orrore è, da sempre, uno dei motivi ispiratori della letteratura. Cercare di dare un senso attraverso le parole a ciò che sembra al di là di qualsiasi senso è un atto titanico per chi ha a che fare con l’arte delle parole che, per loro stessa natura, rientrano nella sfera del logico. Eppure è proprio nella descrizione dell’orrore che spesso si sono toccate le vette della qualità artistica, sforzandosi di dire ciò che appare indicibile, ciò di fronte a cui ogni ragione si ferma. Il recente caso del ragazzo che ha sterminato la propria famiglia a colpi di coltello rientra in questo genere d’orrore, insondabile, indicibile appunto, che però la letteratura si sforza di dire, di rappresentare. Del resto, come non si può parlare di ciò che rompe l’ordine delle cose? Di ciò che appare come al di là di ciò che è possibile?



Paul Klee una volta, riferendosi all’arte figurativa, ma è un discorso valido per tutte le arti, disse che un artista veramente grande non deve rendere il visibile, ma “rendere visibile”. Lo sforzo è appunto quello di mostrare ciò che è più remoto, ciò che si nasconde. L’arte svolge, dunque, una funzione chiarissima dinanzi a ciò che appare come più misterioso e oscuro. Non potendo fornire dimostrazioni probanti, non potendo risalire alle cause e capire attraverso di esse, può solo mostrare evocando. Dinanzi all’orrore solo l’arte ha qualcosa da dire.



Un omicida che evoca un senso di estraniamento rispetto al mondo come motivo scatenante del suo raptus, un senso di estraniamento inconoscibile ma che facilmente si può rintracciare nel cuore di ciascuno di noi, non può che farci pensare a un classico tra i classici, “Lo straniero” di Camus, quel Meurseault pacifico impiegatuccio che, per il troppo sole e per via di una rivoltella che si trova in tasca casualmente, spara a un arabo infierendo poi con tutto il caricatore. In “Io, Pierre Riviere”, Michel Foucault ricostruisce la vicenda di un giovane contadino semianalfabeta, ma tutt’altro che stupido, che aveva sgozzato la madre, il fratello e la sorella, per poi scrivere una lirica memoria processuale in cui spiegava lucidamente le ragioni del suo gesto e si augurava di essere messo a morte. “Questo discorso di Riviere – scrive Foucault – abbiamo deciso di non interpretarlo, e di non imporgli alcun commento psichiatrico o psicanalitico. Gli avremmo allora imposto quel rapporto di forza di cui volevamo mostrare l’effetto di riduzione”.



Truman Capote trovò il suo trionfo letterario con “A sangue freddo”, descrivendo in maniera minuziosa e fenomenologica il massacro della famiglia Clutter in Kansas: padre, madre, figlio, figlia, uccisi a fucilate in faccia da due ladruncoli che mai avevano fatto neppure lontanamente qualcosa di simile, e della cui umanità, di uno dei due, Perry Smith, Capote s’infatuò. Qualsiasi tentativo di spiegazione “scientifica” s’infrange contro il fatto dell’orrore. Non vi è sociologia o psicologia che possa rendere ragione del fatto, a cui si possa ridurlo. Queste prassi, di fronte a simili fatti, sono chiacchiere consolatorie, pretese rivestite di linguaggio tecnico di voler sapere le “cause” di ciò che causa effettiva, ovvero qualcosa che sia proporzionato al fatto e da cui il fatto possa ordinariamente conseguire, non può avere.


L’evento ha un suo scandalo che è irriducibile alla spiegazione. Ritorna allora l’osservazione di Paul Klee sull’arte come tentativo di rendere visibile, di sforzarsi di dire ciò che ci appare indicibile. Ogni tentativo di risalire alle cause di ciò che ha a che fare con quel che per noi si raffigura come ciò che è più buio, come l’oscuro, è un goffo e volgare passo falso, un’incapacità di rendere giustizia a un fatto assoluto, un volerlo svilire (normalizzare) a un episodio di grossolano malessere socio-psico-pedagogico. Ma basta ascoltarle, queste “spiegazioni”, per coglierne tutta la piccina, riduzionistica irrealtà.

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